Triste, solitario y final. Questa è l’ultima versione di Ronaldinho, finito in carcere in Paraguay per esserci entrato con un passaporto falso (come il fratello Roberto) e poi trovato positivo, come tanti colleghi, al Covid-19. Ultimi sei mesi da incubo per l’ex fuoriclasse brasiliano con pochi lampi da ricordare, ad esempio le partitelle giocate, e pare pure vinte, in prigione assieme agli altri galeotti. L’ombra del campione che fu, l’epilogo deprimente di una vita passata a illuminare le scene: un’era, quella del Ronaldinho calciatore, quasi irripetibile, tra gol, magie e sorrisi, e che nel novembre del 2010, il 23 novembre per la precisione, vedeva l’ultima gioia personale del brasiliano in Europa, prima dell’addio al Milan e al ritorno in Brasile. Una partita non memorabile in sé, contro l’Auxerre in Champions, ma da ricordare appunto per questo motivo.
Riserva
Anche l’ultimo periodo di Dinho in rossonero è abbastanza triste, solitario y final. Niente carcere o virus di mezzo, per fortuna, ma una condizione evidente di rincalzo dei titolari. Dall’estate del 2010, infatti, l’allenatore del Milan è Massimiliano Allegri, arrivato in sostituzione di Leonardo, e l’ex Pallone d’Oro è una delle prime vittime (assieme forse ad Andrea Pirlo) del pragmatismo tattico del tecnico livornese: gli intoccabili davanti sono i nuovi acquisti Ibrahimovic e Robinho, o Pato quando non è infortunato. E per non sbilanciare la squadra il buon Max si è inventato un mediano in più, Flamini, avanzando Seedorf dietro le punte o Kevin-Prince Boateng, potendo disporre di una rosa ricchissima, di certo più di quelle delle rivali italiane.