Maradona non aveva ancora lasciato questa terra che i bigotti del quarto d’ora già avevano istituito l’Inquisizione, maledetti baciapile della limpieza de sangre. ‘Campione eterno ma uomo discutibile’, ‘il migliore di sempre in campo, piccolo uomo fuori’, ‘cocainomane, violento, populista’, un climax parrocchiale abile a spegnere il fuoco di ogni passione. L’arte non dev’essere morale e l’artista non ha nulla da dover insegnare, la kalokagathìa non trova spazio nell’estetica. L’arte nasce dal dolore, questo non comprendono i poveri di spirito ora incarogniti sulla memoria di un genio.
Se n’è andato a novembre Maradona, quattro anni dopo Fidel e quindici dopo George Best, nel mese più misero che ci sia dopo una vita vissuta a farsi del male. E a noi non interessa né delle mogli malmenate né dei festini con la camorra, o dei figli persi e dei chili presi. A noi interessa di cosa ha fatto al calcio nella sua accezione più nobile, quella che porta uno sport ad essere religione di popolo. O un uomo ad essere mito.