Sei anni fa, era il 2014, Nicola Rizzoli venne ingaggiato per un cameo in un documentario romanzato sullo scudetto vinto dal Bologna nel 1964. Coppola in testa, seduto al tavolo di un’osteria che pareva uscita da Bar Sport di Stefano Benni, gli sceneggiatori Cristiano Governa ed Emilio Marrese gli costruirono la battuta perfetta, caustica dati causa e pretesto: «Mai capito che gusto c’è a far l’arbitro…», il borbottio con l’accento giusto. Pochi mesi dopo Rizzoli avrebbe diretto la finale del Mondiale brasiliano e un anno più tardi Rizzoli – inteso come editore – ne avrebbe pubblicato l’autobiografia, intitolata come quella battuta.
Ecco, appunto: di autobiografie di arbitri sono pieni i cataloghi, e proprio da una di queste, quella dell’inglese Howard Webb, la Uefa ha deciso di mutuare il titolo della sua serie sui migliori direttori di gara continentali, Man in the middle, l’uomo nel mezzo, sufficientemente evocativo di ciò che, in fondo, è l’immagine percepita di un arbitro, colui per il quale nessuno tifa e, soprattutto, (quasi) nessuno prova empatia.