Mark Renton, in quel capolavoro di film che è Trainspotting, affermava: «Non so mica se mi piace tifare una squadra che vince». Ecco se pensiamo oggi a Tobias Jones, noto giornalista ma ancor prima grande tifoso dell’Everton, ce lo immaginiamo così, alle prese con una crisi d’identità se non addirittura con una seduta psicanalitica. D’altronde lo scrittore inglese, interpellato da Avvenire quando già la cura Ancelotti aveva iniziato a dare i suoi frutti migliori, aveva confessato candidamente il proprio sconforto:
“va tutto benone, ma sono nervoso: non saprei più chi sono veramente se l’Everton dovesse cominciare a vincere”.
Questo è un po’ lo stato d’animo che Carletto ha suscitato nella frangia storica del tifo, di cui Jones si è fatto portavoce: la sensazione tipica di un appassionato di musica che assiste alla ribalta del gruppo che aveva scovato anni prima in un locale della provincia più profonda, o quella di un assiduo lettore il quale apprende che il libro di quell’autore seguito da anni – anche alle presentazioni nei bocciofili di periferia – è stato candidato ad un premio prestigioso. Ci immaginiamo Jones, quindi, mentre conserva la foto di un Moyes di turno e tenta di mettere nero su bianco tutte le paure che lo attanagliano:
“tifare Everton è sempre stata una tragedia, ma ora che c’è Ancelotti cambia tutto, e cambia anche la stessa natura del tifoso: non sa proprio come comportarsi chi non è abituato ai sogni”.