Ancora una volta, lo scorso febbraio, gli appelli degli animalisti sono caduti nel vuoto: a farne le spese un agnello, sacrificato dal Raja Casablanca sotto gli occhi dei membri dello staff, a cui poi è stata distribuita come dono la carne della povera bestia. Dietro questo macabro rituale c’è un futile “motivo” di campo: il sacrificio, secondo i dirigenti del club marocchino, doveva servire ad arginare la lunga sequela di infortuni che in quel momento stava perseguitando i Verdi, causando non pochi problemi all’allenatore Sellami.
Si tratta, purtroppo, di un film già visto: nel 2006, ad esempio, lo stesso Raja Casablanca si era reso protagonista di un episodio simile. Ma in realtà riti scaccia-malocchio, anche truculenti come questo, sono una prassi assai comune in tutto il Nordafrica. La scorsa primavera alcune società tunisine più o meno prestigiose, tra le quali lo Sfaxien, hanno eseguito lo stesso rito apotropaico per propiziare “risultati positivi”, come ha documentato Souhail Khmira, il corrispondente sportivo della BBC per quei luoghi, con tanto di foto raccapriccianti postate sui social.