"Questa volta Cesare ha firmato il libro di vetta della scalata sulla sua vita. Un abbraccio forte a chi gli ha voluto bene". Con queste parole il figlio Gian ha comunicato la scomparsa di Cesare Maestri, uno dei più grandi alpinisti di tutti i tempi, che era da tempo in precarie condizioni di salute. Maestri aveva compiuto novantuno anni lo scorso autunno. Il suo nome è indissolubilmente legato a scalate di difficoltà estrema sulle Dolomiti ma soprattutto alla controversa "epopea" del Cerro Torre in Patagonia.
Nato il 2 ottobre del 1929 a Trento, giovanissimo partigiano durante la Seconda Guerra Mondiale, Maestri era diventato Guida Alpina nel 1952 ed aveva intrapreso una brillante carriera arrampicatoria che lo aveva portato ad aprire - spesso in solitaria - vie di difficoltà estrema sulle Dolomiti: il sesto grado che - negli anni Cinquanta, appunto - rappresentava il "non plus ultra" dell'arrampicata. La sua fama lo aveva ben presto portato a varcare i confini nazionali, fino ad essere "chiamato" dall'alpinista di origine trentina (emigrato in Sudamerica) Cesarino Fava, che lo aveva invitato a mettersi alla prova sulle pareti del mitico Cerro Torre, in Patagonia. La prima spedizione, nel 1958, si concluse però con un nulla di fatto - per quanto riguarda il Cerro Torre- a causa delle difficoltà sorte in seguito allo "scontro" con un'altra spedizione italo-argentina della quale facevano parte Walter Bonatti e Carlo Mauri. Tornarono ai piedi dell'"Urlo di Pietra" la successiva estate australe, Maestri e Fava, e questa volta con loro c'era l'altoatesino Toni Egger. Fu in questa occasione che, durante il tentativo di vetta intrapreso da Maestri ed Egger, si sviluppò - nei suoi contorni destinati ormai a non essere mai più chiariti - la vicenda che avrebbe segnare il resto della carriera e di Maestri. Nel mezzo di una tempesta durata giorni interi, Egger perse la vita - travolto da una valanga - sulla via del ritorno, portando con sè la machina fotografica con le prove dell'avvenuto arrivo in vetta. I sospetti e le polemiche che seguirono "costrinsero" Maestri a tornare in Patagonia all'inizio degli anni Settanta, aprendosi la strada verso la parte finale della parete (non venne invece affrontato il fungo di ghiaccio sommitale) piantando centinaia di chiodi ad espansione, per mezzo di un pesante compressore che - come prova - venne lasciato sulla montagna, dove si trova tuttora, lungo quella che da allora viene appunto chiamata "Via del compressore".
Enigma e veleni del Cerro Torre a parte (la scalata del 1959 è stata disconosciuta dalla comunità alpinistica internazionale, il discutibile l'exploit del 1970 aspramente criticato), la carriera alpinistica di Maestri - oltre tremilacinquecento scalate, un terzo delle quali in solitaria - si è appunto svolta principalmente sulle pareti delle Dolomiti. Lungo le quali, dalla Marmolada al Gruppo di Brenta, il fuoriclasse trentino ha aperto e ripetuto (in salita ed in disscesa) itinerari che fanno - questi sì - parte della storia dell'alpinismo mondiale.
Cavaliere della Republica, medaglia di bronzo al merito civile e membro del GISM (Gruppo Italiano Scrittori di Montagna), Maestri è stato autore di diversi libri di carattere autobiografico, che raccontano le sue imprese alpinistiche. Tra i quali "Arrampicare è il mio mestiere", "Il Ragno delle Dolomiti" il suo soprannome) e "2000 metri della nostra vita". Vita che Cesare ha trascorso in buona parte a Madonna di Campiglio, dove aveva aperto un negozio di articoli sportivi.