In questa stagione calcistica, già bizzarra per conto suo, si nota un vuoto. E non stiamo parlando di quello sugli spalti: ormai ci siamo abituati, purtroppo. Alla serie A, giocata sul campo o raccontata nei media, manca infatti un altro ingrediente piuttosto saporito: la toscanità. Per un incrocio di fattori, alcuni davvero inaspettati, il campionato in corso è privo dei quattro condottieri toscani che, negli ultimi anni, avevano orgogliosamente esibito vizi e virtù del proprio popolo di origine. Parliamo di Allegri, Mazzarri, Sarri e Spalletti. In rigoroso ordine alfabetico.
Chiariamo subito un punto. Qui nessuno ha intenzione di giudicare chi fra loro è bravo o meno, chi è vincente o meno, chi è perdente o meno, chi è fortunato o meno. Esistono altre sedi per stabilirlo, più qualificate o più cialtrone (dipende dai punti di vista). La questione è diversa: i quattro discendenti del Granducato, con le loro scelte o i loro comportamenti, creavano comunque spunti di discussione coloriti in un panorama tristemente orientato al grigio.
Ci manca Massimiliano Allegri, la risposta tirrenica ai bagnini romagnoli degli anni ‘60. Ci manca la sua visione della vita sempre un po’ vitellonesca, costruita sulle zingarate con Galeone, sui tornei amatoriali nei mitici “gabbioni” livornesi, sulle metafore ippiche dove si vince “di corto muso” e si mandano i giocatori stanchi “al prato”. Neppure gli anni al Milan berlusconiano o alla Juventus agnelliana erano riusciti a modificarlo geneticamente.