Dopo il caso Carli Lloyd, un altro episodio con la maternità in primo piano lascia di stucco tifosi e addetti ai lavori del mondo dello sport. La storia è quella di Lara Lugli, la cui società sportiva (Volley Maniago Pordenone) con cui giocava a pallavolo in Serie B1 nella stagione 2018/19 le ha chiesto giudizialmente i danni per essere rimasta incinta, accusandola di aver sottaciuto al momento dell'ingaggio della propria intenzione di avere figli e quindi di aver violato la buona fede contrattuale. La storia è emersa dopo che la stessa Lugli ha rivelato i retroscena sul proprio profilo Facebook.
"[...] a distanza di due anni vengo citata dalla stessa società per danni, in risposta al decreto ingiuntivo dove chiedevo il mio ultimo stipendio di febbraio (per il quale avevo interamente lavorato e prestato la mia attività senza riserve)". Una vicenda che ferisce non solo la stessa Lugli, ma tutta la categoria di atlete che ancora devono fare i conti con delle condizioni contrattuali che inibiscono la volontà di una donna di raggiungere l'obiettivo più grande che si possa desiderare: diventare madre. "Perché una donna se rimane incinta non può conferire un danno a nessuno e non deve risarcire nessuno per questo".
L'ex-giocatrice di Serie A2 (Casalmaggiore, Sassuolo, Firenze e non solo) ha oltretutto vissuto il dramma personale dell'aborto spontaneo dopo appena un mese di gravidanza: "L’unico danno lo abbiamo avuto io e il mio compagno per la nostra perdita e tutto il resto è noia e bassezza d’animo".
La società di Pordenone, come riporta l'atto, ha motivato la scelta come una conseguenza non solo del fatto che Lara Lugli avrebbe volontariamente nascosto il desiderio di diventare madre, ma che il suo stop abbia portato la formazione a perdere molti punti sul campo e infine anche sponsor importanti. Sempre il club friulano sostiene che la 41enne avrebbe potuto rientrare e completare i restanti mesi di campionato, considerata l'interruzione involontaria della gravidanza.
Un'azione, quella della società di Franco Rossato, che ha convinto l'Assist (l'Associazione Nazionale Atlete) a scrivere una lettera al presidente del Consiglio Mario Draghi e al numero uno del CONI, Giovanni Malagò, per chiedere che cosa intendano fare per mettere fine alla situazione per la quale le donne italiane, non avendo accesso alla legge nº91 del 1981 sul professionismo sportivo, vengono esposte a questi casi.
"Questa vicenda mi suscita rabbia e delusione". Lo ha detto a LaPresse Tania Cagnotto, campionessa di tuffi da poco diventata mamma per la seconda volta. "Il problema è che le donne atlete non sono tutelate come lo sono le donne sul posto di lavoro. Capisco possa esserci una situazione di disagio, ma non trovo corretto quanto è accaduto".
Ma arrivano anche le parole di Franco Rossato, presidente della società in questo momento nell'occhio del ciclone, il Volley Maniago Pordenone: "Secondo quanto era scritto nel contratto, che ci è stato proposto dalla persona che rappresentava i suoi interessi, in caso di interruzione anticipata si sarebbero attivate clausole penalizzanti per l'atleta. Di fronte alla maternità ci siamo limitati a interrompere consensualmente il rapporto mantenendoci in costante contatto con la giocatrice. Ad un tratto molti mesi dopo - riferisce il presidente - abbiamo ricevuto la comunicazione del suo legale per presunte spettanze. Solo quando ci è arrivata l'ingiunzione di pagamento ci siamo opposti e abbiamo attivato le clausole del contratto. Citare le parole del freddo atto serve a farci sembrare dei mostri, quando invece ci siamo solo difesi di fronte alla richiesta di un rimborso non dovuto. Fosse stato per noi, non avremmo mai chiesto nulla".