John Milton diceva che a mostrar l’uomo è l’infanzia. C’è chi la teme, come Totò in Nuovo Cinema Paradiso, e c’è chi, come Giovanni Trapattoni, la custodisce con gelosa nostalgia. Gli occhi del Trap risplendono da sempre di una fulgida luce celeste. Sono occhi profondi, che hanno la forza di evocare delle immagini lontane. Dietro il blu del suo sguardo si scorge gran parte del suo passato: i primi calci tirati a una vescica di maiale piena di paglia, la ferrea educazione cattolica, il difficile rapporto col padre. Gli occhi di Giovanni Trapattoni contengono tutta la sua infanzia, tutto il suo mondo. In poche parole: Cusano Milanino. “Ho trascorso la mia infanzia in una cascina con le stalle al fondo […] Quando i miei genitori parlano tra loro stanno sempre attenti a distinguere Cusano (dove abitiamo noi) da Milanino, la parte del paese al di là della strada provinciale. A scuola la differenza fra me, i miei amici, i miei vicini di casa e quelli di Milanino si vede eccome. Essere di Cusano o di Milanino cambia davvero”.
Cusano non è un semplice luogo di provenienza, ma un modo di essere. È per il Trap ciò che Itaca è per Ulisse: è ormeggio e non porto. È motivo d’orgoglio, è parte della sua identità. È suoni e odori: è la puzza di zolle e di letame che proviene dalle stalle; è il padre, contadino inflessibile che lo chiama all’imbrunire con due dita in bocca e un soffio forte.