Maria Sharapova e lo spirito di gravità

Compie 34 anni una grande promessa dello sport mondiale, mantenuta a metà

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3 Luglio 2004. Wimbledon, Regno Unito. Sul prato verde del campo centrale il pubblico assiste in un religioso silenzio ai palleggi di riscaldamento tra le due finaliste della centodiciottesima edizione. Ogni colpo alla palla rimbomba nello stadio, rendendo assordante la quiete che circonda le due tenniste. Da un lato gli occhi del pubblico in attesa si posano sui rapidi e potenti movimenti di Serena Williams, arrivata in finale in uno dei momenti fino a quel momento migliori della carriera e considerata da tutti favoritissima, dall’altro accarezzano la giovane numero 23 del mondo, Maria Sharapova, non ancora maggiorenne e sconosciuta ai più.

Posizione frontale, gambe leggermente divaricate, piedi affondati nel manto erboso dell’Olimpo del tennis. Maria si dilunga nel suo classico rituale al servizio. Ripensa a quante volte ha fatto quel gesto, a come sia diventato un meccanismo, esterno a sé: alienato, affinato e reso perfetto con la pratica. Due rimbalzi alla pallina e, appena prima che essa si liberi dalla mano, uno sguardo all’avversaria. All’unisono, la sfera gialla si alza dalla mano e il piede destro si unisce al sinistro. Il braccio nasconde la racchetta dietro la schiena e, dopo l’impatto, tutto il corpo viene trascinato in campo.

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