30 SENZA LODE

Macina, il gemello del Mancio fermo... a zero gol in A

 

di
© panini

Dall’anno di nascita 1959 a quello 1988: storie di 30 campioni mancati del nostro calcio, grandi talenti che hanno però deluso (in tutto o in parte) le promesse


Ai tempi del Bologna c’era chi non aveva dubbi. Tra i due “cinni” tanto promettenti delle giovanili “Macina è più forte di Mancini”. Cinno, in bolognese, vuol dire ragazzo. La realtà è che il ragazzo Mancini diventò presto Bobby-gol, diede un contributo determinante alla nascita della Samp d’oro anni Ottanta e Novanta per chiudere con lo scudetto laziale del 2000. Mentre il ragazzo Macina la Serie A l’ha appena annusata senza lasciare tracce tangibili (leggi, gol).

Tutti e due classe 1964, separati da appena un paio di mesi. Marco Macina, più vecchio, nato il 30 settembre sotto il segno della Bilancia. Roberto Mancini, Sagittario, il 27 novembre. I due si conoscono e diventano amici nella foresteria che a Casteldebole ospita i ragazzi del vivaio rossoblù che arrivano da fuori Bologna. Mancio è di Jesi, Macina “straniero” della Repubblica di San Marino. Aurora Jesi e Tre Penne i nomi delle squadrette da cui arrivano. In coppia fanno sfracelli a livello giovanile trascinando il Bologna a uno storico scudetto Allievi nel 1982: con loro altri due che avrebbero fatto carriera, Antonio Paganin (classe ’66) e Giancarlo Marocchi (’65).

Il 1982 è un anno fondamentale nei loro percorsi di crescita. Mancini – saltato a inizio stagione direttamente dagli Allievi alla prima squadra – gioca 30 partite su 30 in A segnando 9 gol. Viene convocato da Bearzot nel listone dei 40 per il Mundial spagnolo e a fine stagione viene ceduto dal Bologna (nel frattempo retrocesso) alla Sampdoria: 4 miliardi di lire anche se in verità i soldi cash sono molti di meno, entrando nella trattativa i cartellini di Galdiolo, Roselli, Brondi e Logozzo.

Sempre nell’82, il 7 maggio, Macina trascina gli azzurrini Under 16 al titolo Europeo di categoria: nella finale di Falconara Marittima la Nazionale del ct Giuseppe Lupi batte 1-0 la Germania Ovest e la firma sul gol vincente è la sua. In quella Italia brilla anche la stella giallorossa di Beppe Giannini che sarà protagonista anni  dopo, oltre che nella Roma, nella Nazionale di Vicini. Il ciclo che porta al titolo continentale comincia nella primavera dell’81. La Giovanissima Italia è una macchina da guerra: 5-0 e 6-0 a Malta, 5-1 e 3-2 alla Svizzera (con doppietta di Macina nella gara giocata a Como). Nei quarti si supera 5-2 (tra andata e ritorno) la Francia (mattatore Mancini con una tripletta), in semifinale la Finlandia porta gli azzurri ai rigori: dal dischetto Mancini e Macina sono freddi e precisi. In finale è 1-0 alla Germania Ovest: Macina titolare, Mancini assente perché il Bologna – in lotta per non retrocedere – non gli dà il permesso di scendere in campo.

Meno soddisfazioni Macina trova sul fronte Bologna: solo 8 presenze in A, tutte da subentrato, con l’esordio al Comunale di Torino contro la Juventus: 22 novembre ’81, 2-0 per i bianconeri, Burgnich lo butta dentro con il numero 16 al posto del centravanti Chiodi; l’amico Mancini veste la maglia 7.

Nell’estate ’82 le strade dei due “cinni” si dividono: Mancini trova gloria e futuro nella Genova blucerchiata, Macina rimane al Bologna anche in B ma continua la sua scalata nelle giovanili azzurre. Dal’Under 16 passa alla Juniores di Italo Acconcia che conquista nel novembre ’82 l’importante Torneo di Montecarlo-Coppa Principe Alberto: 1-0 alla Jugoslavia di “Pixie” Stojkovic (suo il gol vincente), 2-0 alla Scozia (ancora Macina e Baldieri i marcatori), 2-0 alla Francia in finale (rigore di Giannini e gol di Baldieri). E’ invece da comprimario la sua seconda stagione in rossoblù: 14 presenze, solo 5 da titolare, e 2 gol, in casa contro il  Palermo (1-3) e contro l’Arezzo (1-0). E’ un torneo tormentatissimo, con tre allenatori diversi (Perani, Carosi, Cervellati), che sfocia nella seconda retrocessione consecutiva. Bologna in due anni dalla A alla C1. Uno choc per la squadra felsinea, che fino al 1981 si vantava (con Inter e Juventus) di essere una delle tre squadre mai scese in Serie B. Più dei suoi due gol fa rumore l’esclusione dalla prima squadra “a tempo indeterminato” (in realtà saranno un paio di settimane) del febbraio ’83: un foglio scritto a macchina (allora non c’erano ancora i computer…) firmato dall’allora direttore generale Giacomo Bulgarelli, gloria del calcio bolognese e grande artefice dello scudetto 1964. Il motivo dell’esclusione viene ricordato così nella lettera vergata da Bulgarelli: per "essere stato visto, da esponenti della società, in luogo pubblico (Club 37), contravvenendo così le disposizioni contenute nel regolamento societario". Dove per Club 37 sta una famosa discoteca in Strada Maggiore, pieno centro di Bologna.

In rossoblù Macina rimane ancora qualche mese: tempo di affrontare Zico a Udine in Coppa Italia nel debutto ufficiale del brasiliano in maglia bianconera (1-1 il risultato, con reti proprio di Zico e di Livio Pin) e di segnare due gol, uno sempre in Coppa alla Cavese e uno in C1, decisivo, nel piccolo derby con la Reggiana vinto 1-0. A ottobre ’83 il Bologna lo cede in prestito all’Arezzo allenato da quell’Antonio Valentin Angelillo talentuosissimo attaccante dell’Inter fine anni Cinquanta e poi scaricato alla Roma dal Mago Herrera. Gli amaranto disputano un campionato con i fiocchi sfiorando la Serie A (sesto posto finale con il rimpianto di tre 0-0 consecutivi casalinghi contro Empoli, Cremonese e Atalanta che frenarono la corsa promozione), ma per Macina c’è poco spazio: 11 le presenze finali (ben 9 da subentrato) e una sola rete. L’estate successiva Marco rientra dal prestito aretino ma il Bologna lo gira ancora: questa volta al Parma, neopromosso in B. Nell’organico crociato dell’annata 1984-85 l’attacco è composito: c’è Barbuti, il bomber della promozione; c’è il “vecchio” Oscar Damiani e c’è appunto il giovane Macina. Il Parma (dove fa il suo debutto tra i cadetti un minorenne Nicola Berti) retrocede, ma Marco gioca finalmente con continuità e si mette in evidenza. Firma tre gol che portano comunque punti: 1-1 a Catania, 1-1 a Pisa e 1-0 al Tardini contro il Bologna, un gol “velenoso” da ex che vale la vittoria. Nell’estate ’85 il trasferimento al Milan. Che in realtà aveva acquistato il suo cartellino già nel novembre ’84 ma il trasferimento non era potuto andare in porto perché due cessioni nella stessa stagione non erano permesse (e Macina era stato già prestato dal Bologna al Parma). Non è il Milan berlusconiano, è ancora quello “operaio” di Giussy Farina con Nils Liedholm in panchina. Il Barone stravede per Macina, ma là davanti la concorrenza non è male: i giornalisti battezzano la “Vi-ro-ha”, il tridente Virdis-Rossi-Hateley. Liedholm prova comunque a inserire quel talentuoso ragazzo sammarinese. A Lecce addirittura vara un Milan a quattro punte: Macina con il 7, Hateley centravanti, Rossi con il 10 e Virdis con l’11: un rigore di Virdis e un gol di Hateley danno il successo ai rossoneri ma l’esperimento rimarrà un unicum. E quel 12 gennaio ’86 sarà l’unica volta di una sua partita intera nel Milan: chiude l’avventura rossonera con un bottino di 10 presenze tra campionato e coppe. Nessun gol, anzi, uno lo segna (al Lecce) ma nel dimenticabile Torneo Estivo che la Lega organizza tra il maggio e il giugno dell’86 (peraltro in pieno Mundial messicano…). Il 1986 sarà l’anno spartiacque nella storia del Diavolo (e, in piccolo, di Macina): il 20 febbraio Silvio Berlusconi rileva la proprietà del Milan. Nonostante in panchina venga confermato Liedholm (“Macina? E’ il giocatore più veloce con la palla ai piedi che abbia mai visto, anzi, va più forte con la palla al piede che senza…”, la massima di Lidas), per lui non c’è spazio nel nuovo Milan berlusconiano. Il talento, il presidente Berlusconi lo ha già comprato in Argentina: Claudio Daniel Borghi, fresco campione del mondo con la Seleccion, che però si troverà le porte sbarrate dal fondamentalismo tattico di Arrigo Sacchi che gli preferirà come terzo straniero Frank Rijkaard. Stupisce semmai il doppio tonfo di Marco che nel giro di pochi giorni precipita dalla A con il Milan alla C1 nella Reggiana. I granata allenati da Nello Santin, ex difensore di Milan, Samp e Torino, allestiscono una squadra ambiziosa che punta alla promozione: sembra esserci il giusto mix di gioventù da rilanciare (oltre a Macina, Loris Bonesso, ex bomber del Toro, e l’emergente centrale difensivo Gigi Apolloni) e di esperienza (regia affidata a Walter De Vecchi, scudettato nel Milan della stella ’79). Il traguardo però è soltanto sfiorato: il Padova allunga e vola in B con il Piacenza, la Reggiana si piazza al terzo posto, a -6 punti dalla promozione. Il bilancio personale di Macina non è disprezzabile: 23 partite e 4 reti. Non gli serve però per salire di categoria e neppure per rimanere nella Città del Tricolore. Il Milan infatti lo gira, sempre in C1, all’Ancona. Dove ritrova un suo vecchio maestro, quel Giancarlo Cadè che aveva avuto per qualche mese a Bologna quattro anni prima e che lo stima tantissimo. Ovviamente parte titolare ma alla quarta giornata, nel match casalingo contro l’Ospitaletto, sente “girarsi” il ginocchio. I medici sottovalutano l’infortunio e lo curano come una semplice distorsione. Dopo due mesi si scopre che in realtà Marco ha il crociato rotto. Stagione finita. Quella successiva, 1988-89, non comincia neanche: per diventare padrone del cartellino ha bisogno infatti di un anno di stop assoluto. Peccato che quando torna disponibile non arrivino offerte soddisfacenti. La nomea del Macina “testa matta” unita a quella del “Macina rotto” lo convincono a dire basta. Gioca, per diletto, qualche altra partita con la maglia della Nazionale di San Marino che aveva cominciato a indossare nell’86 quando ancora l’attività era “ufficiosa”. Le ultime informazioni davano Macina impiegato all’Ufficio del Turismo di San Marino. Il rammarico per una carriera che poteva essere e non è stata (senza magari cadere nell’eccesso di considerarlo un Messi mancato…) aumenta nell’aneddoto raccontato di recente dallo stesso Macina alla tv del Bologna. “Nel ’77 in realtà sarei dovuto andare a fare un provino nell’Inter ma un’infezione al piede me lo impedì. Quello era l’ultimo raduno che faceva l’Inter quell’anno e così, qualche settimana dopo mi ritrovati a Casteldebole…”

Marco Macina classe 1964
Serie A: 13 presenze, 0 gol
Serie B: 51 presenze, 6 gol

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