Ha ragione il giornalista Wolfram Eilenberger: Toni Kroos a una prima occhiata non ha niente di speciale. Non è alto e non è forte. Non è veloce e neanche aggressivo. Non ruba l’occhio, ma richiede uno sguardo più profondo. Possiede quello che Brera definiva il senso euclideo dei migliori metronomi. È un maestro del calcio, che, come diceva Osvaldo Soriano, è dubbio costante e decisione rapida. Le sue scelte sono veloci, ma oculate. Quando il pallone giunge tra i suoi piedi cessa di essere una variabile impazzita e si placa come un bimbo in lacrime tra le braccia materne. Kroos è un dominatore del gioco, un gestore del tempo e dello spazio. La sensazione è che non sia mai in affanno. La sua posizione del corpo è sempre impeccabile, solenne e naturale. Il ritmo può variare, ma non il suo stile. Anche in mezzo alla burrasca, Toni Kroos ce lo immaginiamo così: la palla sfiorata con l’esterno di quel bianco piede destro, la grazia di un pattinatore sul ghiaccio e lo sguardo alto a scrutare all’orizzonte traiettorie invisibili.
La sua carriera è un ininterrotto climax ascendente verso la perfezione. La sua bacheca di trofei è una pletora sconfinata di successi internazionali. A ben guardare, il percorso di Toni Kroos è una sequela di incontri sfruttati al meglio. Ciascun allenatore lo ha fatto crescere: suo padre lo ha temprato, Heynckes lo ha protetto, Guardiola ha arretrato il suo raggio d’azione e Zidane lo ha completato. Persino Benitez è stato cruciale: l’ingresso in pianta stabile di Casemiro ha permesso a Kroos di essere libero da compiti più ardui. Il risultato è stato magnifico e il Real ha schierato il centrocampo forse più completo degli ultimi 20 anni di calcio. E se Casemiro ha aiutato Kroos, lo stesso si può dire al contrario: “Giocare con Kroos è un piacere, un privilegio. Se Toni vuole giocare piano noi rallentiamo. Se vuole giocare veloce noi acceleriamo. Giochiamo alla Toni Kroos. È lui l’anima del Real Madrid”.