Fra Barcellona e Siviglia ci sono più di 1.000 chilometri di distanza. Si gioca al “Ramón Sánchez Pizjuán”, casa del Sevilla FC. La Steaua Bucarest è la squadra dell’esercito romeno. Da non confondere con la Dinamo, formazione che fa capo alla Securitate, la terribile polizia segreta che a sua volta fa capo a Nicu, figlio del Presidente. Trentacinque anni fa l’Europa è divisa in due dalla “Cortina di Ferro” e le coppe europee di calcio rappresentano un momento di incontro e al tempo stesso di competizione politica. La Steaua (Stella, in romeno) è arrivata a giocarsi la finale grazie a un grande senso del collettivo e con quel pizzico di buona sorte in sede di sorteggio che di certo non guasta mai.
Ha infatti eliminato i danesi del Vejle, gli ungheresi della Honvéd orfani del proprio passato remoto, i finnici del Kuusysi Lahti e (un’impresa vera, finalmente) i belgi dell’Anderlecht in semifinale. Più complesso il percorso del Barcellona, per aver dovuto estromettere dal torneo squadre del calibro di Sparta Praga, Porto, Juventus e Goteborg. Siviglia l’andalusa è pronta ad accogliere la finalissima. L’arbitro è il francese Michel Vautrot, coinvolto anni più tardi in un presunto caso di corruzione in Roma-Dundee, semifinale di Coppa Campioni nel 1984. Partita brutta, molto tattica, che la Steaua ha comunque il pregio di addormentare, annullando di fatto il gap tecnico rispetto agli avversari. Per di più, le poche volte che il Barça riesce a rendersi pericoloso entra in scena un portiere semisconosciuto appena fuori dalla Romania.