L’uomo che ha non soltanto rivoluzionato il modo di stare in campo ma che nell’immaginario di un’epoca ha concesso un’anima all’essere calciatore. Un’anima con le sue fragilità, la sua grandezza, i suoi insondabili abissi e le sue più intollerabili solitudini. Dopo di lui il calcio non sarà lo stesso, perché tra la metà di un secolo e l’inizio di un millennio è passata una cometa che ha ridefinito ogni cosa e il suo contrario. Il buio pesto e i colori, la gioia di esserci e l’incapacità di restarvi. Il privilegio e la condanna di possedere una classe superiore e per cognome un superlativo assoluto.
È almeno per ora l’unico calciatore al mondo (assieme a Cristiano Ronaldo) al quale sia stato intitolato un aeroporto internazionale (quello di Belfast, naturalmente) e che può vantare la propria effigie sulla banconota da 5 sterline. Quella di George Best è una storia che ha inizio ai margini del Regno Unito. Nasce a Cregagh, quartiere di Belfast, nel 1946. Una città strana, un luogo diviso e contemporaneamente unito da fili spinati visibili e invisibili. Dove camminare in una certa strada o bere in un certo pub può significare schierarsi, anche senza volerlo. Figlio primogenito di Dickie Best e Anne Withers, George cerca di bypassare il dissidio fra protestanti e cattolici dedicandosi fin da bambino a fare ciò che gli riesce meglio.