Dall’anno di nascita 1959 a quello 1988: storie di 30 campioni mancati del nostro calcio, grandi talenti che hanno però deluso (in tutto o in parte) le promesse
Serata afosa al Tardini, 3 agosto 1988, amichevole precampionato tra il Parma e il Milan fresco campione d’Italia guidato in panchina da quell’Arrigo Sacchi che proprio a Parma aveva allenato per due stagioni (promozione in B e salvezza tranquilla) prima di approdare in rossonero. A due minuti dalla fine, con le squadre sull’1-1 (pallonetto di Baresi sulla corta respinta del portiere dopo il miracolo di Ferrari su Gullit; pareggio di Turrini smarcato da un colpo di tacco di Osio), uno sconsiderato intervento di Costacurta costringe Stefano Impallomeni a lasciare il campo in barella. Il loggione del Tardini fischia a più non posso il Milan: brutto, davvero indegno di un’amichevole il fallo del difensore rossonero sul talentuoso attaccante crociato che aveva sostituito a inizio ripresa un ex milanista, Rufo Emiliano Verga. L’entrataccia di Costacurta procura a Impallomeni un delicato intervento chirurgico per ridurre la frattura bimalleolare della caviglia destra. Per chi ha memoria storica, un intervento non tanto diverso da quello di Goicoechea su Maradona nell’83. Ci vorranno più di sei mesi per rivederlo in campo (il 5 febbraio subentra proprio a Verga al minuto 77), poi il 18 giugno Stefano vive forse la sua ultima domenica di gloria nel grande calcio: doppietta al Galleana nella vittoria 3-1 del Parma sul Piacenza di un altro giovane promettente numero 11, Beppe Signori.
Roma in Serie A (un ritorno), due stagioni al Pescara in B, una alla Casertana in C1 e di nuovo Pescara dove nel giugno ’94, a soli 27 anni, Impallomeni dice basta. Perché in realtà il vero Impallomeni era finito in quell’afosa serata del 3 agosto 1988, colpa di quel fallaccio di Costacurta. Che, detto per inciso, non si scusò immediatamente ma fece passare una ventina d’anni prima di fare nel maggio 2007, dalle colonne del Corriere della Sera, un tardivo mea culpa a firma Alberto Costa: “Gli devo delle scuse, gli ho rotto una gamba, era un vero talento”.
Già. Impallomeni talento. Per di più precoce. Molto. Perché a 16 anni e 4 mesi Liedholm lo fa esordire in prima squadra. La stagione è quella (1983-84) della Roma con lo scudetto sul petto che culminerà con l’amara notte finale di Coppa dei Campioni contro il Liverpool. Nel ritorno degli ottavi di Coppa Italia il Barone lo manda in campo a Reggio Emilia al posto di Francesco Vincenzi a dieci minuti dalla fine: la Roma conferma l’1-0 firmato Cerezo e si qualifica per i quarti di finale di un trofeo che alla fine vincerà nella doppia finale contro il Verona. Impallomeni è un attaccante esterno che ha grande tecnica, salta l’uomo e all’occorrenza sa anche far gol. Romano de Roma, cresciuto come Di Livio nel Club Olimpico, con il giallorosso nel cuore, è la stellina della Primavera dei cicli Spinosi e Santarini. Oltre al debutto in Coppa (preceduto dalla panchina della gara d’andata) in quell’annata colleziona altre quattro presenze in panchina in campionato e un’altra nel ritorno della semifinale contro il Torino, un paio di settimane dopo l’euro- sconfitta contro il Liverpool.
Nell’estate ’84, nonostante il cambio in panchina tutto svedese con Eriksson che prende il posto di Liedholm, Impallomeni parte per il ritiro di Caldaro. Non avrà tante occasioni per mettersi in mostra in prima squadra, a parte le amichevoli infrasettimanali (con qualche golletto qua e là: per esempio alla Spes Montesacro e al Monterotondo) ma il suo percorso di crescita prosegue con profitto.
Eriksson lo porta in ritiro (questa volta a Riscone di Brunico) anche nella stagione 1985-86 che è quella dell’esplosione. Dopo varie presenze in panchina, a maggio scocca la sua ora, complici le partenze per il ritiro pre-mondiale messicano dei quattro azzurri romanisti Tancredi, Nela, Ancelotti e soprattutto Bruno Conti, di cui per molti Stefano può diventare l’erede anche se in realtà più che un fantasista è una potenziale seconda punta con fisico e tecnica. Eriksson punta forte su di lui nelle sfide dentro/fuori di Coppa Italia. Sei presenze tra quarti, semifinale e finale. In Roma-Inter (andata dei quarti) “delizia il pubblico con ottimi fondamentali” e fa girare la testa al suo marcatore, Riccardo Ferri: è il suo esordio all’Olimpico, per di più da titolare con la maglia numero 11. Finisce 2-0, risultato determinante per il passaggio del turno visto che a San Siro (altra maglia numero 11, da titolare) l’Inter vince 2-1 ma viene eliminata in mezzo a una feroce contestazione dei tifosi nei confronti del presidente Ernesto Pellegrini. Stefano ormai è un “titolarissimo”: nell’andata della semifinale contro la Fiorentina ancora la maglia numero 11 (con la 10 sulle spalle di Ciccio Graziani…), a supporto di un tridente offensivo composto dallo stesso Graziani, da Pruzzo e da Tovalieri. Proprio Tovalieri, dopo l’1-0 di Righetti, firma il raddoppio propiziato da un suo gran tiro di non trattenuto dall’ex Paolo Conti. Voti alti dai quotidiani sportivi e non (6,5 e 7) e grandi elogi. Nel ritorno Impallomeni parte in panchina ma dopo mezzora entra al posto di Pruzzo: la Roma fa 1-1 e si guadagna la finale contro la Sampdoria. A Marassi, nell’andata, il Doria piega 2-1 la Roma ma il numero 11 giallorosso si prende fior di complimenti. Giorgio Gandolfi, inviato de La Stampa, scrive di lui “gran talento con già la stoffa del campioncino.” La sorpresa, nella finale di ritorno dell’Olimpico, è semmai vedere Impallomeni partire in panchina. Ma Stefano riesce comunque a mettere la sua firma sulla Coppa Italia: entra all’84esimo al posto di Pruzzo e – con la squadra in dieci uomini per l’espulsione di Graziani - pennella il cross per la testa di Toninho Cerezo (al suo passo d’addio: giocherà la stagione successiva proprio nella Sampdoria…). E’ il gol del 2-0, è il gol dell’apoteosi, è il gol della sesta coppa nazionale per la Roma.
Nell’estate successiva il rientro dal Pisa di un altro prodotto del vivaio (Baldieri), l’arrivo sempre dal Pisa del danese Bergreen (molto stimato da Eriksson) e l’acquisto dal Cesena di Agostini tolgono un po’ di spazio a Impallomeni che mette insieme nella stagione 1986-87 5 presenze in campionato (due da titolare) e 4 in Coppa Italia.
Per farlo crescere la Roma decide nell’estate ’87 di cederlo in prestito in B al Parma allenato, dopo il biennio Sacchi, da un emergente Zdenek Zeman. Dopo le prime giornate di campionato Impallomeni, che nel frattempo ha bruciato le tappe anche nelle rappresentative giovanili, parte per il Cile dove si disputa il sesto Mondiale under 20. Gli azzurrini di Lupi vanno a mille nel girone eliminatorio (pareggio 2-2 con il Canada, con Stefano a segno su rigore; vittorie contro Brasile e Nigeria) ma vengono battuti nei quarti dal Cile. E al ritorno in Italia, Impallomeni non trova più Zeman in panchina: i cattivi risultati hanno fatto saltare la panchina del Boemo. E così a novembre torna in A traslocando a Cesena in uno scambio che porta Minotti a Parma. Il bianconero non regala però grandi soddisfazioni: con Bigon alla guida dei romagnoli, tante panchine ma zero minuti in campo.
Siamo così all’estate del 1988, l’estate del ritorno a Parma, l’estate del crac di cui a inizio articolo. La fiducia dell’ambiente e l’appoggio quasi paterno del presidente Ceresini non vengono mai meno. Dall’infortunio di inizio agosto al ritorno in campo passano sei mesi. Ma questa è una storia che abbiamo già raccontato. Perché in realtà, dopo quell’infortunio, la caviglia ha sofferto varie “recidive” condizionando pesantemente la carriera di Stefano. Guizzo, scatto, tiro: nulla è tornato come prima. Di una “vita sportiva” durata troppo poco sono rimasti comunque splendidi ricordi. Nella sua bacheca “fisica” rimane a far bella mostra una Coppa Italia vinta da protagonista con la Roma nel 1986. E in quella “teorica” la soddisfazione di aver avuto illustri maestri, tutti innamorati delle sue qualità tecniche e umane: da Liedholm a Eriksson, da Zeman a Gigi Radice (nel suo ultimo passaggio in giallorosso), da Mazzone a Galeone (entrambi a Pescara). Sulla scorta degli insegnamenti di cotanti docenti calcistici poteva anche uscire un signor allenatore. Invece, da più di 25 anni, Stefano Impallomeni ha scelto un’altra strada… fuoricampo. Anzi… a bordocampo: giornalista professionista.
Perché nella vita di Stefano non è esistito solo e soltanto il pallone. Anche i libri hanno avuto il loro spazio: liceo scientifico, poi qualche esame a Giurisprudenza (con i soliti problemi di conciliare studio e allenamenti) quindi, una volta smesso con il pallone, tanto microfono. L’idea viene ad Alberto Mandolesi, guru con Michele Plastino dell’emittenza privata romana: dopo la sua ultima passerella sul campo (panchina in Cosenza-Pescara del 5 giugno ’94) e i Mondiali americani visti in televisione, Impallomeni diventa voce e volto di radio e tv locali. Eloquio pulito, grande capacità di analisi, conoscenza delle dinamiche di spogliatoio, autorevolezza, giusti tempi televisivi. Nel giro di pochi anni il grande salto sulle tv nazionali con Stream prima e quindi con Sky, nelle varie declinazioni di Skysport e Skytg24. Dal 2016 è il padrone di casa di Roma tv. Dalle sgroppate all’Olimpico agli studi televisivi. C’è sempre vita, nel calcio.
Stefano Impallomeni classe 1967
Serie A: 10 presenze
Serie B: 43 presenze, 2 gol