Sessant’anni fa moriva suicida Ernest Hemingway, premio Nobel per la letteratura nel 1954, figura iconica e controversa, mito e paradigma per molte generazioni. Uomo mutevole e camaleontico, in bilico tra luci ed ombre, costantemente scisso tra vita e morte. La questione dell’aldilà lo tormenta quotidianamente, non può essere altrimenti per un pensatore del Novecento. La incontra anche e soprattutto nella caccia e nella pesca, nella corrida e nello sci, più in generale nello sport. L’Hemingway sportivo si può riassumere, seppur in maniera riduttiva, con una delle sue frasi più celebri:
“ci sono solo tre sport: il combattimento dei tori, le gare automobilistiche e l’alpinismo. Il resto sono semplici giochi”.
tratta dal saggio Morte nel pomeriggio (1932).
DALLA FINE
2 luglio 1961, Ketchum, Idaho. Ernest Hemingway viene trovato morto al pianterreno della casa della moglie Mary, accorsa dopo aver udito uno sparo. Lo scrittore, secondo la versione accreditata dai familiari, stava pulendo uno dei suoi fucili e, involontariamente, così poneva fine alla propria vita. Hemingway, da tempo caduto in uno stato depressivo-allucinatorio, aveva più volte tentato il suicidio, suggello di un’esistenza vissuta al limite. Una vita, la sua, non dissimile da quelle dei protagonisti delle sue opere, dalle quali emerge il paradigma di un uomo coraggioso e audace, incapace di piegarsi al sopruso.
Papa – soprannome dell’autore statunitense – e i suoi personaggi si riassumono nella figura dell’eroe che trasforma la propria inevitabile sconfitta in una vittoria del carattere. “Un uomo”, scrive nel romanzo Vero all’alba pubblicato postumo nel 1999, «deve comportarsi da uomo. Deve sempre combattere, preferibilmente e saggiamente, con le probabilità a suo favore, ma in caso di necessità deve combattere anche contro qualunque probabilità e senza preoccuparsi dell’esito. Deve seguire i propri usi e le proprie leggi tribali, e quando non può, deve accettare la punizione prevista da queste leggi».
Una lezione, questa, di abnegazione e forza d’animo stoiche, applicabili tanto all’esistenza quotidiana quanto allo sport. L’attività sportiva – che si porta inevitabilmente con sè il concetto di sfida – è un punto cardine nella vita dell’Hemingway borghese ma ha anche significative ricadute sull’Hemingway scrittore. Questa, infatti, rappresenta un mezzo valido per cimentarsi con sé stessi, con i propri limiti, con l’invincibile natura ma, soprattutto, con la morte; quest’ultima, nei romanzi del letterato, è sempre celata dietro un simbolo: un toro, un marlin, il paesaggio stesso.