Arrivati a Tokyo e lasciato finalmente l'aeroporto dopo le tre ore e mezza di controlli, l’iter olimpico è tutt’altro che terminato. Fuori dal terminal, la stampa accreditata per questi Giochi è attesa da una navetta che trasporta tutto il gruppo fino a un altro centro di smistamento nel quale a ognuno viene consegnato un voucher per il trasporto in albergo. Ogni giornalista deve rigorosamente viaggiare da solo sul taxi assegnato. Cortesia e disponibilità sono qualità di tutto il popolo giapponese che invece – pur senza voler generalizzare - fatica un po’ con la lingua inglese. E così arrivati in albergo, dopo il classico check in, termina il giorno zero. La mattina seguente inizia a tutti gli effetti la quarantena.
Tre giorni durante i quali non è possibile uscire. E’ consentito un quarto d’ora al giorno per recarsi nel supermarket più vicino che nel nostro caso è praticamente nello stesso edificio. Inoltre nei primi tre giorni di soggiorno, bisogna sottoporsi ad altrettanti test salivari. In maniera autonoma. Così come è necessario trovare una persona volenterosa che porti i tamponi in uno dei centri di raccolta perché l’organizzazione si occupa soltanto di alcuni, non di tutti.
All’interno dell’albergo i contatti sono minimi. Non c’è accesso alla sala per la colazione che viene consegnata in un sacchetto direttamente in stanza, proprio come non c’è il servizio pulizia. Tutti i ricambi per il bagno sono già imballati in due buste che si trovano in camera al momento dell’arrivo per evitare qualsivoglia contatto non necessario. Così va per questi Giochi Olimpici al tempo del Covid, almeno per i primi tre giorni di quarantena. Poi, forse, sarà tutt'altra storia, che però scopriremo tra qualche giorno.