Citando l’intramontabile Gianni Mura: “In una battaglia, di civiltà e culturale, si possono arruolare solo volontari consapevoli e motivati, altrimenti è un’operazione di facciata.” Nel dicembre del 2020, Antoine Griezmann ha pubblicamente attaccato, con sorprendente veemenza, il governo della Repubblica Popolare Cinese. Dopo un anno, caratterizzato da stravolgimenti geopolitici internazionali di complessa lettura, la presa di posizione dell’attaccante originario di Mâcon ha incendiato ulteriormente il dibattito tra Stati Uniti d’America e Cina. Una specie di velenosa ‘ciliegina sulla torta’ con la quale Griezmann ha sancito la sua decisione di rompere il contratto che lo vedeva legato al gigante della telecomunicazione Huawei.
Le critiche e le accuse di Griezmann, che, dopo la replica stizzita di Huawei, si è limitato a sollecitare la società cinese a “battersi per contribuire all’uguaglianza tra uomo e donna”, per quanto comprensibili, scatenano interrogativi di diversa natura. La pluriabusata e persino logora citazione di José Mourinho: “Chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio”, non giustifica però l’esposizione politica, più o meno involontaria, da parte di atleti in grado di veicolare, con una facilità disarmante, messaggi ad un pubblico di massa.