Come ha notato il giornalista Moris Gasparri in un articolo apparso sul Foglio lo scorso novembre, «ogni approfondimento che abbia come oggetto del proprio discorrere la figura di Marcelo Bielsa si espone a una critica preventiva: la banalità della scelta». È infatti ormai molto comune (per non dire scontato) citare un passo, o un versetto, della stranota biografia del tecnico argentino in qualsivoglia riflessione sul calcio sudamericano e più in generale sul calcio moderno, specie se la riflessione è apologetica. Fiumi di aneddoti strampalati hanno concorso negli anni a definire la figura di un allenatore-profeta, al punto che oggi si può tranquillamente affermare che Bielsa venga considerato un “guru” del calcio anche in Italia, sebbene non vi abbia mai messo piede.
Nato a Rosario, Argentina, il 21 luglio 1955, il giovane Marcelo già a 25 anni termina la sua carriera da modesto calciatore. Inizia quella da allenatore come vice del Newell’s Old Boys nel 1980 e prosegue lavorando per le squadre giovanili fino al 1990, anno in cui gli viene affidata la prima squadra e vince il titolo di Apertura. Sembra il battesimo di un predestinato, e in effetti Bielsa nella sua Rosario lascerà il segno: qui conquisterà nel 1992 anche il campionato Clausura e lascerà ricordi talmente buoni da meritare l’intitolazione dello stadio casalingo nel 2010.