Imprevedibile come Maradona, sobillatore come Ibrahimovic. Anzi, al confronto Ibra è quasi un tipo dimesso. Si chiamava Enrique Omar Sivori. Un rivoluzionario del calcio per i più, un “cabeza de choto” per altri. Un genio per quasi tutti. Gianni Agnelli considerava l’argentino trascendenza all’essere fuoriclasse. Per l’Avvocato, Sivori era addirittura un vizio. In sostanza, lo vedeva come un lusso per esteti del calcio già assuefatti alla concretezza.
Ma l’arte del “cabezòn” non è stata soltanto bellezza applicata al calcio. Dribblomani e innamorati della sfera di norma sono giocatori di pallone. Lui, sia pure da individualista convinto, era giocatore di calcio, uno scardinatore di difese grazie a giocate inimitabili. Ogni 2 ottobre Sivori compirebbe gli anni, e la sua è la storia di uno di quegli stranieri – non sono poi moltissimi, a ben vedere – in grado di cambiare la storia della Serie A. E pensare che alla fine degli anni 50 il chico malo del calcio argentino arriva nel nostro calcio quasi da sconosciuto. Ma non lo farà certo in punta di piedi.