Arrivano in sala stampa e si piazzano dietro al microfono. In media, parlano tre o quattro lingue senza troppe difficoltà. E se non conoscono l’idioma locale, lo imparano alla svelta. Sono freddamente cortesi, apparentemente disponibili, vagamente sarcastici. Ti guardano con quella faccia un po’ così, che dunque non hanno solo a Genova ma anche a Rotterdam, Amsterdam o Eindhoven. Sono gli allenatori olandesi, da tempo impegnati in una missione particolare: farci sentire, ogni giorno, un po’ cretini. O almeno sprovveduti. La squadra va male? Voi non capite. Il centrocampo fa acqua da tutte le parti? Il gioco di posizione deve essere ancora assimilato. La difesa ha incassato valanghe di reti nelle ultime tre gare? In questo paese (mettetene uno a caso) la mentalità è diversa.
Le ragioni del superiority complex olandese arrivano da lontano. Dal leggendario calcio totale dell’Ajax anni ’70, da Rinus Michels, da Sua Maestà Johan Cruijff, che ha davvero influenzato a livello intellettuale l’intero movimento calcistico, prima come giocatore e poi come allenatore. Chiedere al Barcellona o a Pep Guardiola per ulteriori approfondimenti. Ma come spesso capita, non tutti gli eredi designati a trasferire il verbo si sono dimostrati all’altezza dei padri. Alcuni di loro hanno vissuto, e talvolta continuano a vivere, in una bolla. Come se essere nati nei Paesi Bassi, o aver indossato la gloriosa maglia arancione, garantisse automaticamente una specie di supremazia ideologica.