Radja Nainggolan, guerriero incompreso

Un giocatore irripetibile, come i suoi eccessi

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Radja Nainggolan fuma molto. Non cura il suo corpo e non si definisce un professionista al cento per cento. Detesta la fatica e le preparazioni atletiche. Per lui il calcio è un atto irriproducibile che non trova spazio oltre i confini della partita, della lotta. Per divertirsi, Nainggolan ha bisogno di uno stadio pieno e di una folla di persone che lo acclamano a gran voce. Parafrasando Desmond Morris, vive il calcio come una caccia rituale. Adora la domenica perché è un rito sacro, l’unico momento in cui un “noi” si può realmente contrapporre a un “loro”.

Molto di Radja Nainggolan è nel suo aspetto. I suoi occhi sono sprezzanti, profondi. La sua mascella è robusta come quella di un pugile. Sembra essere nato per indossare un completo da calcio: è l’unico abito che davvero gli si addice. La sua maglia da gioco è attillata e rivela il suo corpo nerboruto. È sempre intrisa di sudore e spesso di sangue. I calzettoni (strettissimi) tagliati all’altezza del polpaccio sono una dichiarazione di guerra al nemico, un modo per liberarsi di ogni freno e far emergere le componenti più tribali della sua psiche.

La verità è che, se potesse, Nainggolan giocherebbe a torso nudo, come si fa dopo una grigliata in cui si è bevuta qualche birra di troppo. Troverebbe posto in un film medievale ambientato in un’indefinita terra del Nord e sarebbe un guerriero indomito. Uno di quelli che la sera prima della battaglia decisiva bevono litri di idromele, si svegliano in ritardo tra le braccia di due o tre fanciulle esauste e si lanciano in faccia al nemico senza armatura e col sorriso sulle labbra, ché neanche la morte può intimorirli. Nainggolan è legato al calcio, ma non a ciò che lo circonda: lo considera un mondo di squali, di disonesti. In un’epoca in cui i più grandi fanno a gara a chi smette dopo, lui dice di voler smettere presto. Dice anche che non capirà mai alcuni suoi compagni. Quelli che giocano e si allenano. Che si allenano e giocano. Quelli, insomma, per cui il calcio è tutto.

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