Mai come quest’anno i 4 giorni del Festival dello Sport organizzati, come ogni anno a Trento, dalla Gazzetta dello Sport, sono stati la celebrazione dell’Atletica Italiana dopo i trionfi olimpici e, per una delle medaglie d’oro azzurre, Gianmarco Tamberi, c’è stata una sorpresa particolare grazie alla presenza dei due monumenti della storia mondiale del salto in alto, il primatista del mondo con 2,45, il cubano Javier Sotomayor, ma soprattutto lo statunitense Dick Fosbury, l’inventore del salto moderno e oro olimpico a Città del Messico 1968, l’unico atleta al mondo a cui di fatto è titolata una specialità dell’atletica.
Oggi Dick è un uomo di 74 anni in buona forma che, dopo aver svolto per tantissimi anni la professione di ingegnere a fine carriera agonistica, si diverte ancora ad andare in giro per il modo a raccontare delle sue imprese atletiche.
Da più di quarant’anni abita nell’Idaho non lontano da dove, a Ketchum, si è tolto la vita ed è sepolto Ernest Hemingway, ma il luogo di nascita è Portland, Oregon, che dopo aver dato al mondo John Reed – “I dieci giorni che sconvolsero il mondo” cronaca in diretta della Rivoluzione d’Ottobre – ha saputo esprimere un altro spirito libero.
Per citare un titolo di un altro uomo che amava la libertà, e ovviamente odiava la tirannide, Bertolt Brecht, Dick è l’eccezione diventata regola: dopo Messico ’68 qualcuno disse e scrisse che quello stile si sarebbe esaurito con il suo inventore (pessimo profeta, disastroso scenarista) e appena quattro anni dopo, a Monaco di Baviera, 28 dei 40 saltatori che si presentarono alle qualificazioni adottavano quel modo di saltare.