18 luglio 1976, Giochi Olimpici di Montreal, Canada. Una ragazzina rumena di 14 anni riscrive la storia della ginnastica. Nadia Comaneci lascia il mondo a bocca aperta. Il voto per la sua esibizione è 10, perfezione stilistica. Anche in Occidente Nadia sarà per anni un modello per chiunque voglia affermarsi nello sport, non soltanto nella ginnastica. Ma quel voto astronomico nasce da lontano. E la sua vita la porterà altrettanto lontano. BUONA FORTUNA Quando 60 anni fa, il 12 novembre 1961, i signori Gheorghe e Stefania Comaneci hanno una figlia, decidono di chiamarla Nadia. In russo Nadia significa “speranza”, anche se i Comaneci credono che voglia dire “fortuna”. La fortuna, intesa come buona sorte, giocherà fin da subito un ruolo essenziale (e quasi miracolistico) per Nadia. Da neonata ha un’estesa sacca di liquido sul capo e i medici temono seri problemi durante la crescita. Un giorno la nonna suggerisce di portare la bambina in chiesa la domenica e di compiere un rito considerato sacro e scaramantico: oltrepassare per tre volte la soglia del portale d’ingresso con la bimba in braccio, prima dell’arrivo del prete. Fatto.
Il mattino successivo, Nadia non ha più nulla. Settimane dopo la bambina è a casa dei nonni mentre Onesti, cittadina natale della bambina, è colpita da una tormenta. Una mattina il nonno solleva la piccola dal lettino e pochi secondi dopo una pesante lastra di ghiaccio sfonda il tetto e cade proprio sopra la culla appena rimasta vuota. Tre anni dopo, Stefania, Nadia e il fratellino Adrian stanno passeggiando. Nell’attraversare un ponte di legno Nadia inciampa e finisce nel fiume da un’altezza di cinque metri. La caduta provocherebbe lesioni a chiunque, se non la morte. Stefania corre disperata con il figlio in braccio verso la sponda più vicina. Arriva e Nadia è lì, zuppa e intirizzita ma illesa, ad attenderla. A Onesti sono quasi tutti ortodossi, malgrado il regime: le vicende della vita, soprattutto quelle a lieto fine, vengono vissute come doni di Dio.