Quasi trentacinque anni fa, a pochi giorni dalla conquista del primo scudetto azzurro (10 maggio 1987), una mano anonima fece una scritta con la bomboletta spray sui muri di un cimitero di Napoli: “cosa vi siete persi”, la spiritosa epigrafe che fece presto il giro del mondo diventando – si direbbe oggi – virale. Adesso che si compie il primo anno dalla tragica scomparsa del Pibe de Oro, verrebbe da dire e da scrivere, magari sui social: Diego, cosa ti sei perso…
Perché la commozione per l’addio di Maradona è stata planetaria. La sua morte ha preso il cuore dei tifosi del Napoli, del Boca, dell’Argentina tutta. Ma ha anche toccato da vicino chi odiava Dieguito per quei sentimenti di forte rivalità sportiva che nel calcio esistono e non si possono negare: i tifosi di quelle grandi del Nord - Milan, Inter e Juventus - che il Napoli di Maradona aveva più volte umiliato sul campo regalando a un club che non aveva vinto quasi niente in sessant’anni di storia due scudetti e una Coppa Uefa. E pazienza se quei tifosi alla fine erano nella stragrande maggioranza meridionali come e più dei napoletani.
La parabola italiana di Diego è durata quasi sette anni. Cominciò in un afoso pomeriggio d’estate, il 5 luglio del 1984, con un “buonasera napolitani” pronunciato al microfono davanti a un San Paolo gremito di quasi 60mila spettatori (paganti…) per festeggiare il lieto evento: l’arrivo del fuoriclasse a lungo inseguito e da tutti sognato che quel giorno era proprio lì, in carne e ossa, in maglietta e calzoncini della tuta, a prendere a calci un pallone con un sorriso largo così, con tocchi divini e morbidi che sembravano infiniti.
La parabola italiana di Diego finì in pratica a Roma in un’afosa serata d’estate, l’8 luglio 1990, con un “hijos de puta” scandito due o tre volte davanti alle telecamere, gentile omaggio verso il pubblico dell’Olimpico che aveva fischiato le prime note dell’Oid Mortales, l’inno argentino. Cattiva usanza da quarto mondo inaugurata qualche settimana prima a San Siro nell’immediata vigilia della gara di apertura di Italia ’90 tra Argentina e Camerun e poi ripetuta a Torino (con il Brasile) e a Firenze (con la Jugoslavia). Solo nelle tre partite disputate al San Paolo (quello stadio che da un anno porta il suo nome…) la “sua” gente non aveva osato infamarlo, neppure nella serata dello storico scontro diretto. Portando rispetto al suo campione anche nel momento decisivo dei calci di rigore che trascinarono in finale l’Argentina eliminando l’Italia.
Certo, in realtà l’ultimo fotogramma calcistico di Diego Armando Maradona in Italia ha quasi nove mesi in più: stadio Luigi Ferraris di Genova, 24 marzo 1991, sconfitta 4-1 con la Sampdoria, gol su rigore segnato a Pagliuca e maglia rossa del Napoli scambiata a fine partita con il 10 doriano, Roberto Mancini. Ma l’ultima stagione in azzurro – contraddistinta comunque dalla conquista della Supercoppa italiana a Napoli contro la Juventus – è tale solo per gli almanacchi.
Ci manchi, caro Diego. E chi non ti ha mai visto giocare dal vivo non sa davvero cosa si è perso…