"E il peccato fu creder speciale una storia normale...". Viene in mente questo verso (è di Francesco Guccini, per chi non l'avesse riconosciuto) pensando all'Inter di questi primi, pessimi, 180 minuti di campionato. Due partite per spazzare via le convinzioni di un'estate, per far evaporare le illusioni di un mercato che non ha risolto il cronico problema in mezzo al campo, per cancellare l'entusiasmo di una tifoseria unica per la sua affezione e sbertucciare (giusto riconoscerlo) una critica palesemente troppo ottimista.
Dopo la sberla col Sassuolo, le due pappine col Torino, un pareggio che per come è maturato ha il profumo della sconfitta: non prendere Modric non è stata una colpa, l'errore è stato non investire su un centrocampista che dettasse i tempi, suggerisse l'appoggio a Brozovic, creasse (o provasse a farlo) la superiorità numerica e alleviasse la solitudine autolesionistica di Icardi. Il Rafinha dello scorso finale di stagione, giusto per fare nomi.
L'Inter è squadra muscolare, ma il campo non è un ring. L'Inter è squadra che fa dell'atletismo la sua anima portante, ma quando la condizione fisica è approssimativa i limiti diventano una sentenza. E poi quale è, oggi, l'assetto che ha in mente Spalletti? Difesa a tre? A quattro? Due esterni alti a sostegno di Icardi? Un trequartista alle sue spalle? E quali gli interpreti? Anche il tecnico nerazzurro ha le sue responsabilità: se la squadra è sulle gambe dopo 45 minuti, se non reagisce di fronte alle difficoltà, se non ha certezze tattiche dietro cui corazzarsi nei momenti critici, qualche interrogativo deve porselo anche chi siede in panchina.
Dopo il flop col Toro, restano gli errori individuali (Handanovic), si evidenziano le scommesse perse (Dalbert) e si ripropongono gli interrogativi su una mediana incompleta (Brozovic da solo non basta a dare ordine, disciplina e geometrie). Basterà Nainggolan a risolvere i problemi? Forse. Di certo non basta Keita, buttato nella mischia in un ruolo non suo al posto di Lautaro a cui per inciso non si capisce cosa abbia significato concedere 150 secondi di partita.
Crescerà l'Inter, non può essere altrimenti, crescerà la condizione di Perisic e pure quella di Vrsaljko. Così come migliorerà l'intesa tra Skriniar e De Vrij, magari scegliendo Miranda come terzo compagno di difesa. Ma intanto resta quel misero punto in classifica, restano i tre gol incassati in due partite e tutti gli interrogativi che hanno sbriciolato convinzioni e presunte certezze.
Tutto è possibile, è vero. Il lavoro è la soluzione. E oggi Spalletti, non a caso, ha cancellato il giorno di riposo che aveva pensato di concedere alla squadra. Intanto però si accantoni l'idea di anti-Juve, è deleteria e corrosiva. Un punto nelle prime due partite: quando è successo nel passato (con De Boer e Gasperini, peggio fece solo Radice nell'83-84 con due sconfitte), mai la squadra è poi andata oltre il quarto posto finale. Appunto, la dimensione attuale di questa Inter.
Quale Inter ha in mente Spalletti? Due partite per sbriciolare certezze e convinzioni: l'anti-Juve non abita a San Siro!
Una squadra muscolare senza fosforo a centrocampo e certezze tattiche dietro cui corazzarsi nelle difficoltà. Basterà Nainggolan?
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