A ben vedere, le analogie non mancano: un passato da centrocampista offensiva a Firenze, un’importante esperienza di vita nel Milan, il primo vero impegno dirigenziale in qualità di direttore sportivo. Se tre indizi fanno una prova, nel segno di Manuel Rui Costa – suo idolo da calciatrice – Elisabet Spina sta rispettando le tappe di una carriera che, appesi gli scarpini al chiodo, si era ripromessa di condurla al centro della crescita dei giovani, trasformando la sua passione nel mestiere di una vita.
Se poi sul percorso si incrocia una leggenda come Paolo Maldini, potendone cogliere esempio e suggerimenti, allora si può dire con certezza che il Milan femminile ha trovato nel proprio direttore sportivo, anzi, nella propria Head of Women Football, una guida preparata e ambiziosa per continuare nello sviluppo di un movimento a tinte rossonere iniziato dal suo avvento.
Accanto a un Milan, maschile, campione d’Italia, ce n’è uno, femminile, che sta crescendo enormemente sotto la sua guida. Ci descrive un po’ la sua storia e cosa l’ha portata a ricoprire questo ruolo in rossonero?
Ho avuto un trascorso da giocatrice in un momento storico in cui però per il calcio femminile vi erano decisamente meno possibilità. Anche per questo motivo, parallelamente alla carriera calcistica, ho sempre cercato di investire sullo studio e sul crearmi un’opportunità lavorativa per il futuro. Quando mi ha chiamata il Milan stavo lavorando con i giovani nel calcio maschile mentre ora sono qui per fornire il mio contributo alla realizzazione di un grande progetto. Costruire un qualcosa di bello e lasciare una traccia nel futuro del club mi riempie di orgoglio.
Lei è stata la prima calciatrice a ottenere il patentino Uefa A con il massimo dei voti a Coverciano, eppure ora si trova a essere uno dei massimi dirigenti del calcio femminile in Italia. Dal campo a dietro alla scrivania, perché?
A volte si creano delle opportunità che ci indicano quale sia la strada più giusta per noi. Il mio obiettivo era far sì che la mia passione potesse diventare un lavoro e non escludo che in un futuro, magari lontanissimo, io possa tornare ad allenare. Ma se dovessi farlo sarebbe sicuramente con i ragazzini o le ragazzine molto giovani, probabilmente più per divertimento che per lavoro.
Parliamo di risultati e di prima squadra. In una Serie A finalmente professionistica vi siete concessi il lusso di battere la Juventus per poi però farvi sorprendere da Pomigliano e Como. Che obiettivi vi ponete con Maurizio Ganz e le sue ragazze?
Gli obiettivi della nostra stagione rimangono gli stessi nonostante abbiamo incontrato delle difficoltà inattese: a oggi siamo consapevoli di non essere riuscite a rispettare i risultati previsti. È naturale che per la maglia che indossiamo ci sia necessità di dare più continuità alle vittorie. Oggi non dobbiamo focalizzarci tanto sull'obiettivo finale quanto sul ritrovare sicurezza gara dopo gara.
A guardare il percorso delle squadre giovanili, sembra che il futuro per i colori rossoneri sia piuttosto roseo. Quali sono le linee guida che dalla sua direzione vengono impartite ai vari team?
Lo scorso anno abbiamo completato la filiera del settore giovanile partecipando per la prima volta al campionato Primavera, abbiamo vinto il titolo con la squadra under 17 e questo è frutto del lavoro svolto da quando il progetto è partito e per questo ringrazio Gianfranco Parma, l'attuale responsabile del settore giovanile femminile. L'obiettivo è quello di crescere e rappresentare al meglio il nostro club, che ha una storia importante. Tra gli obiettivi futuri vi è quello di portare più giocatrici possibili provenienti dal settore giovanile alla prima squadra. È un periodo storico importante con il primo anno di professionismo e speriamo ci siano sempre più ragazze che abbiano voglia di giocare e sempre più famiglie pronte a supportare il loro percorso.
Nello sport, soprattutto a livello giovanile, stiamo assistendo a dinamiche parecchio discutibili: ad esempio nella ginnastica sono emerse pressioni notevoli su tante adolescenti in funzione della prestazione. Quali sono gli anticorpi di cui un movimento come il vostro e un club come il Milan si possono dotare, anche alla luce di un professionismo che ci auguriamo si allarghi nei prossimi anni?
Quando si lavora con i giovani ci si deve approcciare sempre con un grandissimo senso di responsabilità. Chi lavora con i giovani non va a incidere esclusivamente sulla loro passione o sulla loro futura carriera calcistica ma va a incidere sul loro percorso di vita. A oggi non ci sono episodi nel calcio femminile che portino le ragazze a non riuscire a esprimersi o a performare a causa di richieste errate da parte di chi lavora con loro. Dobbiamo, però, stare attenti a far sì che ciò non accada nemmeno in futuro, quando presumibilmente le pressioni aumenteranno.
Nel suo lavoro riscontra più discriminazione o diffidenza da parte degli addetti ai lavori uomini?
In base a quella che è la mia esperienza personale posso dire di ritenermi fortunata. Sappiamo, però, che sono emersi, soprattutto all'estero, dei casi in cui le giocatrici hanno sporto delle denunce. Nel mio percorso ho trovato molti uomini che hanno messo a disposizione le proprie competenze e la propria professionalità e che hanno sempre avuto grande rispetto, per la donna come per la professionista.
Proprio lo scorso anno, come Milan, abbiamo attivato il progetto #WeAllAreFootball per la promozione dell'uguaglianza di genere, che rientra all'interno del più ampio manifesto "RespAct" per equità sociale, uguaglianza e inclusività. Lo scopo è quello di riuscire a supportare sia le ragazze che gli staff nell’avere tra i propri valori la chiarezza, il non fraintendimento e la non manipolazione di alcuni messaggi. Si parla spesso degli episodi di discriminazione di cui una giocatrice può essere vittima ma è anche vero che, a volte, i messaggi dati in buona fede possono essere strumentalizzati. È importante che le tutele vadano in entrambe le direzioni: le giocatrici e i professionisti che lavorano per questo club devono in ogni momento sentirsi in sicurezza.
Sua madre è nata e cresciuta in Svezia, un paese in cui il calcio femminile è una realtà da parecchi anni. Quanta differenza ancora c’è fra il calcio femminile italiano e quello estero del Nord Europa o degli Stati Uniti e sotto quali aspetti?
Al momento la differenza principale è solo nella durata del percorso. In Italia il cammino è molto breve, nonostante oggi le giocatrici abbiano opportunità anche superiori a quelle che si possono trovare in altri contesti. La lunghezza del percorso però fa sì che ci siano nazioni che siano più pronte anche grazie a un numero di tesserate maggiore sia a livello giovanile che professionistico. Noi arriveremo a questo punto tra qualche anno anche grazie a un cambiamento culturale che darà i propri benefici nel corso del tempo.
Nel calcio maschile hanno di recente sdoganato la figura dell’arbitro donna, mentre per un’allenatrice bisogna tornare indietro a più di 20 anni fa con l’esperimento fallimentare di Carolina Morace alla guida della Viterbese. Siamo su binari che non si rincontreranno mai?
Quando ho sostenuto il corso Uefa A tra le domande che mi hanno posto c'era: “Tu sogni di allenare una squadra in serie A maschile?”. La mia risposta è che mi auguro che un giorno sia data la possibilità a una donna di poter entrare a fare parte di uno staff. Per noi donne è importante sedere al fianco di professionisti uomini, che hanno un bagaglio storico di competenze ed esperienze che, a oggi, è maggiore rispetto al nostro. Una volta che a una donna verrà riconosciuta la possibilità di accedere a questo bagaglio di competenze, allora si potrà valutare se sia pronta a sedersi su di una panchina di Serie A maschile oppure no.
I Mondiali di calcio hanno dato una grande spinta al calcio femminile in Italia nel 2019: la nostra Nazionale è però reduce da un Europeo molto deludente. Cosa dobbiamo aspettarci dalle Azzurre secondo lei?
L'Europeo è stato deludente anche a causa delle grandi aspettative derivanti da un Mondiale dall’esito sorprendente e inaspettato. Quello che la Nazionale femminile è riuscita a fare in Francia nel 2019 è stato straordinario e sopra il valore di ogni singola giocatrice in quel momento. Crearsi poi delle aspettative in seguito a qualcosa di straordinario può risultare controproducente. Va però anche precisato come l’Italia si sia comunque qualificata per la seconda volta consecutiva al Mondiale. Non mi resta quindi che augurare il meglio alle Azzurre, nella speranza che i loro risultati possano fornire ulteriore beneficio a tutto il movimento.
C’è un modello che da ex calciatrice aveva e che oggi ha come dirigente?
Da calciatrice uno dei miei modelli era Rui Costa semplicemente per similarità di ruolo e caratteristiche. Oggi ritengo che avere l'opportunità di confrontami quotidianamente con Paolo Maldini e Ricky Massara sia veramente un valore aggiunto. Per me Paolo rappresenta la storia del club e anche un modello da seguire. Ogni giorno posso toccare con mano ciò ha fatto da giocatore, prima, e da dirigente, poi, e riesco a percepire i reali valori di questa maglia, cosa voglia dire lavorare per il Milan e fare parte di questa famiglia. Uno dei miei obiettivi è quello di riuscire a trasferire tutto ciò alle mie calciatrici, sia a quelle della prima squadra che a quelle dei settori giovanili.