"Il mare d'inverno è un concetto che il pensiero non considera". Così faceva la canzone, così mi guardo bene dal fare io! La decisione di tradire le "solite" montagne per lanciarsi sui sentieri vista mare del Trail del Ciapà di Cervo (Riviera ligure di Ponente) fa capo al desiderio di correre via dal clima freddo, piovoso e nebbioso. Cosa volete farci, la corsa è amore della fatica ma non deve per forza essere sacrificio a tutti i costi. Precisato questo, si può partire, spaziare oltre. Largo alla discontinuità! La mia regola generale in questi casi è: tempo di gara quantomeno pari alle ore di macchina necessarie a raggiungere il via. Zaino in macchina, outfit primaverile e via, alla ricerca del piacere di ampliare le conoscenze e il giro virtuoso che l'ambiente della corsa invariabilmente genera.
Tre ore di strada per lasciarsi alle spalle Milano ed affacciarsi sulla Riviera dei Fiori ed altrettante (stimate a tavolino) per portare a termine la missione Ciapà 28kappa. L'equazione è sostanzialmente corretta, diciamo che a conti fatti ho un tantino sottostimato le caratteristiche della prova e (rispetto al piano) avrò bisogno di un'intera ora in più per completare l'itinerario di una gara che ha contribuito ad arricchire il mio bagaglio sportivo. Ampliare gli orizzonti - per chi come me scrive per una testata nazionale - è un dovere. Al quale per quanto mi riguarda non si sfugge neanche per un solo giorno. Servizio permanente effettivo!
L'appuntamento è per il via della prova-clou del Trail del Ciapà, quella lunga che fa il suo esordio nella proposta dell'evento organizzato dagli amici di Dianese Outdoor ASD, completata dalla mezza maratona e da una veloce nove chilometri "d'ingresso", entrambe anche in versione Dog Endurance. È una branca relativamente nuova del trailrunning, quella della corsa del binomio uomo-cane, che mi incuriosisce e che prima o poi dovrò proprio trattare approfonditamente "su questi schermi", ma che ancora non mi convince del tutto. Probabilmente è solo un mio limite. Mi riprometto (ogni volta che) di tornarci sopra.
Sono arrivato a Cervo alla vigilia della gara: per prendermela calma ma anche per motivazioni in qualche modo affettive. Da queste parti trascorrevo infatti le vacanze al mare da bambino e non vi rimettevo piede da... mezzo secolo. Trasferta sportiva ed emozionale, quindi. Tanto che, a gara terminata, andrò nella vicina Diano Marina per rivedere la piccola e riparata spiaggia tra due moli della mia infanzia e la mia amatissima Villa Bianca. Ora però prendo sonno nella mia camera all'Hotel San Matteo di San Bartolomeo al Mare (comune che separa quelli di Cervo e Diano Marina) e all'indomani mattina dopo una ricca colazione sono in un paio di minuti al Campo Sportivo di Cervo, base operativa dell'evento.
Un saluto agli organizzatori ed in particolare a Marlene Grosso, presidente della Pro Loco del piccolo comune ligure (con la quale abbiamo creato un anno fa il primo contatto), poi vado ad indossare la divisa di ASD Sportiva Lanzada, la mia società di appartenenza. Non è raro che anche i miei compagni di squadra abbandonino di questi tempi (e in questa stagione) la Valmalenco e la Valtellina per venire a "svernare" agonisticamente da queste parti (le gare non mancano!), ma oggi sono l'unico a vestire questi colori.
Al via siamo solo un centinaio (giustamente numero chiuso per questa prima edizione) e per chi è del mestiere è abbastanza facile capire come i favori del pronostico siano tutti per Lorenzo Rostagno e per Camilla Calosso che - per inciso - sono compagni di vita e si augurano buona fortuna con un bel bacio. Poi scattano subito in avanti, tanto che Lorenzo in particolare ha già abbandonato la compagnia del gruppo al primo chilometro... Io invece "muovo"... comodamente dalla pancia del gruppo stesso.
Dopo un primo chilometro scarso ci inerpichiamo su una ripida rampa che - esaurito proprio lì l'asfalto iniziale - ci introduce nel vivo della gara e in un sentiero tra gli ulivi nel quale si procede in colonna ma già ben sgranati e sbuffanti. Si corre tra i muretti secco, tratti di selciato e su un terreno pietroso (ciapà significa proprio pietra), ma per fortuna nessuna di quelle sulle quali appoggiamo i passi è pietra... d'inciampo!
"Mi tuffo perplesso in momenti vissuti di già"
Puntiamo al Colle di Cervo, dove chi ha scelto la prova più breve farà direttamente rotta sul suggestivo borgo medioevale, mentre noi ed i colleghi della 21K che scatta poco più tardi della nostra prova puntiamo sull'entroterra, seguendo la cresta che - proseguendo ben oltre il tracciato di gara - porta fino ai mille metri (quasi) esatti del Pizzo d'Evigno che sovrasta Diano Marina. Disegnato con buona logica lunga una serie di anelli che si incrociano in tre punti che tocchiamo sia nell'itinerario di andata che in quello di rientro, il percorso porta però ad appoggiare ripetutamente sotto il filo della cresta, fornendo così tra discese e risalite in quota tutto il dislivello necessario! Il sole si alterna alle nuvole, al momento innocue. Troveremo anche un po' di vento, ma solo in cresta.
"Qualche nuvola dal cielo che si butta giù"
La prima digressione dalla "via maestra" a cavallo della dorsale orientale dell'arco montuoso che chiude il Golfo Dianese ci porta al ristoro nel paese di Chiappa, (nuovo richiamo alla pietra, immagino), in uscita dal quale vengo raggiunto in rapida successione dai toprunners della mezza maratona, che sono partiti quindici minuti dopo di noi e che mi superano veloci come dei cavalli al galoppo. Decido di distrarmi un po', incaricandomi del servizio di radio-corsa: vale a dire comunicare a ciascuno di loro posizione e distacchi. Eh sì, scappare dal lavoro non è poi così semplice!
Passati i primi dieci della "mezza" torno a concentrarmi sulla mia prova, che magari è meglio... Scavalcata la cresta, ci abbassiamo di nuovo sul fianco della dorsale, abbandonando temporaneamente il Golfo per affacciarci sul versante di Andora. È il tratto di gara che mi piace di meno perché - a causa della sua esposizione "nordica" - tende a ricordarmi un po' troppo da vicino i boschi prealpini dai quali oggi sono fuggito e che non amo particolarmente. Nemmeno il resto dell'anno, per dirla tutta. Finisce che, nella fretta di tornare in groppa alla montagna e scavallare a sud, snobbo il ristoro di Conna e poi finisce anche che mi dispiace non aver premiato con l'accettazione di un sorso di sali o d'acqua l'entusiasmo dei volontari che lo presidiavano. Cosa volete farci... Ho il cuore tenero, io! Appena sopra il ristoro stesso anche i colleghi della 21K fanno dietrofront, abbandonandoci ad una seconda parte di gara piuttosto "eremitica" ma ben accetta.
"Mare mare, non ti posso guardare così perché questo vento agita anche me"
Di nuovo in cresta quindi, all'altezza del punto di controllo nei pressi dei ruderi della chiesa di San Bernardo, con magnifica vista sull'intera conca di montagne che chiude il Golfo Dianese. Un volontario mi sprona a non perdere contatto dalle due concorrenti che mi precedono. Non me lo faccio ripetere due volte ed in effetti guadagno terreno nei loro confronti sulla traccia che oltrepassa i 565 metri del Monte Bandia per poi impennarsi ancora per un altro centinaio di metri di dislivello positivo, lungo un sentiero dalle mille suggestioni mediterranee ma e al tempo stesso dalla splendida vista sulle Alpi del Cuneese abbondantemente innevate. Mi sorprendo a pensare che sto comunque correndo lungo la catena alpina che - come da lontane memorie scolastiche - "attacca" per convenzione (ça va sans dire) solo una quarantina di chilometri in linea d'aria a nordest da qui, in corrispondenza della Bocchetta di Altare, alias Colle di Cadibona, come recitava il mio libro di geografia delle scuole elementari!
Un saliscendi dopo l'altro ci avviciniamo al giro di boa, dove si decidono in un certo senso le sorti della gara, e non solo della mia. Alcuni colleghi non capiscono che proprio in quel preciso punto della cresta (quotato 650 metri slm), crocevia di diversi sentieri, bisogna invertire la rotta e proseguono oltre... Da parte mia non commetto questo errore: perché (essendone completamente digiuno) ho digitalmente studiato a fondo il terreno di gara e perché - in sede di presentazione del Trail del Ciapà su Sportmediaset - ho visto foto e filmati del luogo. Solo che - sempre ad uso giornalistico: questo - non vedendo in giro fotografi dell'organizzazione opto per un paio di selfies. Distrazione che il mio coach, qualche giorno dopo al campo d'allenamento, non mancherà di rimproverarmi... Tanto basta infatti per perdere di vista il gruppetto che mi precedeva di non molte decine di metri e così trovarmi ad affrontare in solitaria la selvaggia picchiata sul paese di Villa Faraldi e poi in buona sostanza tutta la seconda metà della gara! Detto questo, beh sì, direi che - come buoni propositi per la prossima edizione - al GPM della gara un commissario di percorso e un fotografo sarebbero presenza gradita!
"Mare mare, qui non viene mai nessuno a farci compagnia"
Corro giù per i caruggi del paesino deserti e silenziosi - é ormai ora di pranzo - e poi lungo una strada asfaltata in mezzo agli ulivi. Che meraviglia: sembra primavera! Il presentimento che maturava da qualche minuto si materializza: non mi avvedo (ah, la ricchezza della lingua italiana) di una deviazione, manco "allegramente" il bivio che indica la via su per il bosco e tiro dritto in discesa per mezzo chilometro, fino alla fine della strada stessa! Lancio qualche epiteto a me stesso ed alla mia ricorrente distrazione, poi rimonto fino al bivio incriminato, dove scopro di aver subito un sorpasso. Non lo riprenderò più... Nella risalita verso la cresta, toccando le località di Tovetto e di Tovo Faraldi, mi raggiungono e mi sfilano anche due colleghi che corrono il doppio di me. Mi chiedo cos'abbiano fatto fino ad ora, visto il loro incedere deciso. Poi li sento parlare dell'errore di percorso al giro di boa là sopra... Ah, ecco, mi pareva!
Raggiunto faticosamente in salita (e per la seconda volta) lo snodo di San Bernardo, chiudo l'anello alto e corro senza più contatti... con altri concorrenti fino al traguardo, mangiandomi le mani per aver perso in salita il "treno" buono per giocarmela meglio.
"E io che non riesco nemmeno a parlare con me"
Per quanto mi riguarda infatti il bello delle gare (rispetto agli allenamenti) è rappresentato dalle sfide dirette, alla pari (da fotocellula a fotocellula) e ad alto tasso motivazionale, in assenza delle quali tendo un po' a perdermi... e non solo a livello di orientamento. Cerco comunque di tirare fuori il massimo da quello che resta del giorno (cit.) e dai chilometri che, su e giù lungo le gobbe della cresta e passando per i 541 metri del Monte Chiappa (sul cui versante a mare si trovano le fortificazioni risalenti alla Seconda Guerra Mondiale), portano al Colle Mea e poi di ritorno al Colle di Cervo. Ancora a mezzacosta - nuovamente in bilico sul versante di Andora - incrociando il punto panoramico del "Salto nel Blu" (il senso è piuttosto intuitivo), fino ai pini marittimi e alla rigogliosa vegetazione del Parco Comunale del Ciapà che dà il nome all'evento odierno. Immagino questi luoghi dipinti nei toni di colore ancora più accesi ed attraversati dai profumi ben più penetranti della primavera e dell'estate... E mi assale una gran voglia di tornare presto da queste parti, anche senza divisa e scarpe da corsa.
Fuori dal bosco, un'antipatica rampa di cemento in ripidissima salita conduce alle porte del borgo medioevale di Cervo. Un luogo dell'anima, che mi riporta ancora una volta all'infanzia ed a proposito del quale mi viene in mente un solo consiglio: visitatelo, perdetevi incondizionatamente tra i caruggi e tra i passaggi coperti che li intersecano. Io l'ho fatto ventiquattr'ore dopo la gara, perché oggi vado un po'... di fretta ed in ogni caso il percorso lambisce solo le mura occidentali della cittadella, prima di abbassarsi senza più indecisioni fino al mare.
"Passerà il freddo e la spiaggia lentamente si colorerà"
L'ultimo chilometro corre infatti lungo la spiaggia e io pure. Anzi, no! Ogni tanto rallento, vado al passo, mi guardo alle spalle per vedere se qualcuno "minaccia" la mia sudatissima settantottesima posizione: nessun pettorale in vista, nessuna divisa sgargiante all'orizzonte: mi posso godere in santa pace gli ultimi minuti del Trail del Ciapà. Lascio il lungomare all'altezza della foce del torrente Steria nel Mar Ligure, puntando sull'ormai vicina linea d'arrivo, che attraverso quattro ore e dieci minuti dopo il via, sotto una leggera e inoffensiva pioggerella, alla quale nessuno di noi in fondo fa caso. Mi fermo due passi dopo la fotocellula. Schiena piegata e mani sulle ginocchia. Altri due passi verso il gazebo dei cronometristi di Wedosport per inquadrare il monitor: quattro ore, dieci minuti e spiccioli. P66 tra gli uomini, alla fine P78 della generale. Non proprio esaltante, ma con il passare dei minuti e delle ore un senso di soddisfazione e di pace si farà strada ed emergerà in superficie.
È tempo di tirare il fiato, sorseggiare una birretta, relazionare il team organizzatore sulle mie impressioni di gara a caldo (seguiranno quelle più ragionate e lungimiranti). Tempo per abbandonarsi alle dolci sensazioni di ogni dopogara. Che sono sempre le stesse e piacevolmente benvenute. Sia che si tratti per così dire di una "major", di una prova da grandi montagne e grandi numeri, sia che si tratti di un evento come questo: che ha tanta voglia di crescere, tanto entusiasmo alle sue spalle ed un "teatro d'operazioni" incantevole e suggestivo. Più che sufficiente per spazzare via definitivamente il dubbio canoro iniziale:
"Il mare d'inverno é poco moderno. È qualcosa che nessuno mai desidera"
("Il mare d'inverno" - Loredana Bertè - 1983)
Fate voi. Fate come me, se vi pare. Io a Cervo e al Trail del Ciapà tra un anno torno. Forse pure prima!