C’è una firma a caratteri cubitali sotto il documento che certifica l’impresa del millennio (un millennio ancora giovane ma la definizione è adeguata): è la firma di Cristiano Giuntoli. Fiorentino, 51 anni, un passato da giocatore di serie C e serie D, Giuntoli ha iniziato la carriera di direttore sportivo dopo aver preso un patentino da allenatore che potrebbe permettergli di guidare una squadra di serie B se lo volesse. Ma è ovvio che non lo vuole, avendo trovato la sua perfetta collocazione nel ruolo che occupa attualmente, quello di direttore sportivo, possibilmente del Napoli.
Esatto: “possibilmente”. Perché ormai hanno capito tutti quanto sia bravo, non solo la Juventus che cerca un uomo di grande qualità in questa posizione, ma anche i grandi club stranieri, incantati di fronte alla stagione di questo Napoli che dieci mesi fa faceva piangere i suoi tifosi per le partenze di uomini-simbolo come Insigne, Koulibaly e Mertens, oggi li fa godere per uno scudetto atteso per 33 anni e che sembrava essere diventato una chimera per una politica che prevede come prima regola assoluta la sostenibilità della gestione. Ecco il segreto: l’oculatezza di Aurelio De Laurentiis e la competenza estrema di Cristiano Giuntoli hanno sublimato la preparazione e l’esperienza di Luciano Spalletti. Un’equazione che ha stupito il mondo, non solo l’Italia.
Il Napoli 2022-23 ha un monte ingaggi di 73 milioni di euro. In passato era arrivato a 110 e solo nell’era Sarri era riuscito ad accarezzare il sogno di chiudere la stagione davanti a tutti. Come sia avvenuto questo cospicuo dimagrimento dei costi è facile da spiegare con dei conti di matematica elementare. È andato via Koulibaly che percepiva 11 milioni lordi, sostituito da Kim che ne guadagna 4. Risultato: il senegalese fa la riserva nel Chelsea, il coreano è nel mirino di tutti i grandi club europei. Lorenzo Insigne nell’ultima stagione costava 8,6 milioni lordi, il suo sostituto Kvaratskhelia arriva a 4 lordi e anche con l’aumento che gli verrà riconosciuto non supererà i 5 milioni. Poi si è passati dagli 8,33 milioni lordi di Mertens ai 5 di Raspadori.
Il calcio si fa con i soldi, direbbero gli inglesi con il loro potere economico debordante. Ma il calcio si può fare anche con le idee, se sono davvero buone. Magari come quella di seguire passo dopo passo per due anni un ragazzino georgiano con un nome impronunciabile e poi investirci 11 milioni quando la gente piangeva per l’addio di Insigne. Adesso Kvaratskhelia è uno dei giocatori più corteggiati tra quelli che prestano servizio nelle squadre del Vecchio Continente. Forse non ha ben metabolizzato il soprannome di Kvaradona ma quando sta bene è il terrore di qualunque difesa. Ma come lui, altri giocatori hanno superato tutte le previsioni: oltre ai già citati Kim e Raspadori, anche Ndombelè e Simeone hanno partecipato in maniera fattiva alla costruzione del sogno, per non parlare di Anguissa, comprato due anni fa a prezzo di saldo dal Fulham e trasformato in una pedina fondamentale accanto a quel Lobotka che con Gattuso non vedeva mai il campo e nelle mani di Spalletti è diventato un regista di livello mondiale.
Nel passato da direttore sportivo di Giuntoli c’è un solo nome di club, quello del Carpi (se non si considera una breve collaborazione con lo Spezia), prima come vice di Giancomenico Costi, poi come artefice unico della scalata della squadra emiliana fino alla serie A. Il rimpianto della sua carriera lo ha raccontato lui stesso qualche mese fa: “Potevo prendere Haaland. Contratto già fatto con il Salisburgo, riconoscendo loro il pagamento della clausola a venticinque milioni di euro. Ma lui preferì il Borussia Dortmund e noi, che avevamo messo lui e Osimhen nelle nostre preferenze, ci dirottammo su Victor. Per noi erano alla pari“. Il tempo gli ha dato ragione al cento per cento.