Napoli come completamento del tour dell’anima, dopo la Roma dei Papi, la San Pietroburgo degli Zar, la Milano della moda e due anni senza calcio vissuti nella sua amata campagna, in Toscana, a farsi i piedi forti “perché è tanta la strada da fare”. Calcio e miracoli sono la stessa cosa a Napoli. E Luciano Spalletti il miracolo calcistico l’ha fatto davvero, riuscendo dove i suoi illustri predecessori Benitez, Sarri e Ancelotti avevano fallito. Uomo concreto, Spalletti da Certaldo, ma che in una città come Napoli ha trovato terreno fertile per esprimere nel modo migliore la sua idea di calcio. Un calcio che ha stravinto in Italia e incantato in Europa.
Si è calato nella nuova realtà a piccoli passi: non ha avuto fretta di modellarla a sua immagine. Anzi, non lo ha mai preteso: ne ha condiviso l’anima geniale senza mai dimenticare le sue origini e senza tradire la sua indole. Per
Spalletti lo scudetto conquistato a
Napoli è il coronamento di una lunga carriera da allenatore iniziata con le giovanili dell’
Empoli, è la chiusura del cerchio che lo ha visto festeggiare a torso nudo nella freddissima San Pietroburgo per poi godersi tutto il calore del tifo partenopeo. Quel tifo che da anni, dal periodo del suo eroe
Diego Armando Maradona, sognava di rivivere un momento così.
In estate
Spalletti ha visto partire un napoletano di nascita come
Insigne e un napoletano acquisito come il belga
Mertens. Ha salutato a malincuore
Koulibaly, passato al Chelsea. Ha detto addio a Fabian Ruiz. Ha accolto in squadra un georgiano dal nome difficile ma dal talento enorme, quel
Kvaratskhelia che ha ubriacato difese e collezionato numeri da record insieme al suo compagno di reparto
Osimhen. Ne ha liberato tutta la sua esplosività. Ha trovato in
Kim l’erede del ‘comandante’. Ma il segreto di Luciano si chiama spirito di gruppo: ogni elemento è l’ingranaggio di una macchina diventata perfetta. Tutti importanti, titolari e non. I suoi giocatori hanno per lui parole di grande ammirazione, ne apprezzano passione, dedizione al lavoro e la voglia di non essere mai uguali a se stessi: “Un genio”, lo ha definito Osimhen. “Se riuscissimo ad applicare il 99% delle sue istruzioni, distruggeremmo qualsiasi squadra”.
Il suo
Napoli ha dominato il campionato ma
Spalletti ha voluto fino all’ultimo guardare all’ostacolo successivo. L’anno scorso poteva essere e non è stato. Non si è mai fermato ad ammirare la sua creatura, a cullarsi sui risultati e a godersi gli elogi degli altri. Ha capito che il traguardo questa volta era raggiungibile. Ha chiamato a raccolta i tifosi. Di più. Perché era il momento “di perdersi dentro l’amore per Napoli”. E ora a 64 anni Spalletti, dopo tanti ‘piazzamenti’, festeggia il suo primo scudetto italiano in una città che due anni fa lo accolse con freddezza e che ora è ai suoi piedi. Quelli di uno che ha fatto tanta strada e che finalmente è arrivato dove voleva.