SKYRUNNING

Livigno Tremila: otto ore non stop tra creste, nevai e foreste del Piccolo Tibet delle Alpi

Collaudo agonistico nella prestigiosa skymarathon livignasca per le nuove Cascadia 17 di Brooks

di
© ENDU

Disposta com'è, adagiata e raccolta lungo l'asse principale di una sorta di “main street” da Far West che cambia più volte nome nel suo sviluppo lineare, Livigno è davvero inconfondibile e imperdibile. Di un altro pianeta, isolata tra le montagne e al tempo stesso al centro delle Alpi: ne è di fatto l'ombelico. Correre lassù, avendone l'opportunità (come a noi è capitato in occasione di Brooks Livigno Skymarathon) è davvero un privilegio. Tornare a vederla allungarsi e stiracchiarsi, a pomeriggio inoltrato, ormai nel finale di gara (dopo tante, troppe, ore in giro), è un grande sollievo, non privo però di un paio di "sorpresine" a tempo scaduto! Con una citazione cinematografica per "iniziati" (oltretutto piuttosto libera) e - tornando alle prime righe - anche molto western (anzi Spaghetti Western...), Livigno è un lusso e “ce lo dobbiamo guadagnare”. Sì insomma, tocca tornare al via e... rassegnarsi a spostare una alla volta sul pallottoliere le trentasei palline (no, chilometri) per un totale di 2800 metri di salita e poi discesa dell’esame di maturità (molto maturità, per quanto mi riguarda) livignasco.

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La mia seconda Skymarathon nel Piccolo Tibet Alpino arriva (eh, magari, intanto parte!) a quattro anni di distanza dalla prima e - volendo trovarle un fil rouge - è fondamentalmente la storia di un viaggio in quota per incontri successivi con altri “cowboys” delle creste alpine. Storia di amicizie vecchie e nuove, famose e ordinarie. La prima è quella con Andrea Deidda, portacolori del Margiani Team di Villacidro (nel sud della Sardegna) che ho conosciuto proprio laggiù ai primi dello scorso mese di maggio, insieme a tutto il resto della staff organizzatore di Villacidro Skyrace: una gara che mi è rimasta nel cuore, come nel cuore porto la Sardegna stessa e la sua gente. E non va più via, non c'è verso!

© ENDU

Ai piedi ho le nuovissime Cascadia 17 by Brooks, l’azienda americana la cui filiale italiana mi ha invitato a Livigno per il lancio della sua storica scarpa da trail. Decido con una buona dose di avventatezza di rischiarle subito in gara: "out of the box", letteralmente. D’altra parte, l’ho già fatto due anni fa con le loro sorelle maggiori Cascadia 16 alla Transgrancanaria Maratón: quindi penso di avere i margini operativi per ripetere l’esperimento. Lo so, i puristi non sarebbero d’accordo: se ne facessero una ragione! Io in ogni caso corro nella pancia del gruppo, non porterò certo le nuove Cascadia al loro limite superiore di sviluppo. Semmai, un bel test di resistenza da otto ore abbondanti!

© S. Gatti

Ci sono solo poche centinaia di metri tra l’Hotel Alpina che mi ospita e la gabbia di partenza: le percorro poco meno che al piccolo trotto. Quattro chiacchiere e una foto insieme dalle parti della start/finish line, poi con Andrea "smarchiamo" la spunta e il controllo del materiale obbligatorio e ci sistemiamo nel folto della gabbia di partenza. Al via lungo la main street, provo a seguirlo per qualche centinaia di metri ma mi accorgo subito che lui ha ben altro passo: chiuderà infatti la sua prova in poco più di sei ore e solo poche caselle oltre la top 100, mancando di un nonnulla la wild card per il Trofeo Kima.

I primi chilometri sono… una sorta di anteprima della Stralivigno, la mezza maratona che andrà in scena il quarto sabato di luglio, secondo appuntamento running (e non solo) dell’estate livignasca, che mette in calendario anche l'ICON Extreme Triathlon di inizio settembre. Si corre a gran ritmo e a me viene da dare il benvenuto al passaggio dall'asfalto al sentiero, anche se so benissimo cosa mi aspetta… Poche centinaia di metri di saliscendi tra i larici, poi scatta l’interminabile collezione di svolte e rampe che, seguite da un tratto ancora più ripido allo scoperto, ormai al di sopra della vegetazione d’alto fusto, porta alla vetta del Monte Mot, il “pacioso” (si fa per dire) panettone da duemilaseicento e passa metri di quota che incornicia Livigno a nord (al centro dell'immagine qui sotto).

© Paolo Taglietti

All’ombra del gigantesco ripetitore che precede il punto culminante, un collega è già attaccato allo smartphone: “Non è giornata, se vado avanti mi faccio male. Torno giù, venitemi incontro con la macchina”. Non lo smuove neanche l’incoraggiamento dell’amica Gloria Lucchetta, mia compagna di squadra nelle file della Sportiva Lanzada: "Dai, proviamoci insieme!". Su e giù lungo la comoda cresta del Mot (che però si stringe man mano che si avanza), arriviamo alla base del primo settore attrezzato: lo superiamo più o meno disciplinatamente in fila, uno dopo l’altro. Senza fretta o quasi perché - dalle mie parti della gara, vale a dire nella seconda metà del plotone - stiamo già facendo il conto alla rovescia per il primo cancello orario: quello del Baitel dala Sascia, che per fortuna si trova in fondo a un tratto in discesa lungo un altro settore attrezzato con catene e corde fisse (in discesa stavolta) e poi giù a perdifiato per un veloce single-track.

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Ci stiamo dentro (nel cancello) piuttosto agevolmente. Solo che al Baitel inizia il secondo vertical di giornata: quello che porta in buona sostanza a guadagnare quota tremila, zona della sofferenza nella quale trascorreremo un’oretta buona tra rocce, creste, nevai, altri tratti sapientemente preparati dallo staff organizzatore. Lungo il traverso che conduce al Pizzo Cassana (GPM della Skymarathon con i suoi 3070 metri, splendida vista sulla conca innevata sottostante e sui colleghi della SkyTrail da 17 chilometri che "incrociano" laggiù), individuo nel collega Paolo Taglietti il “gancio” giusto per provare a soffrire un po’ di meno. Si tratta di pura illusione ovviamente…

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Lui conosce benissimo i luoghi: credo anzi non si sia perso una singola edizione di questa prova. Ci presentiamo in realtà solo nella breve sosta della croce di vetta e - con tacito accordo - attraversiamo prima in discesa e poi di nuovo in salita verso un nuovo tratto attrezzato: quello che "addomestica" il castello di rocce della vetta di Punta Cassana (Piz da Rin per i livignaschi), che per poco più di una manciata di metri - sette - supera quota tremila.

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Lasciamo per strada in questo punto ben più tempo del necessario, perché l’itinerario di andata e ritorno dalla cima (sviluppo: non più di cinquanta metri) è intasato di colleghi che “pazientemente” aspettano il loro turno di arrampicarsi e poi disarrampicare pochi metri più in là. La circostanza fa tanto… ingorgo sullo Hillary Step dell’Everest in piena stagione di spedizioni commerciali, anche perché in questo punto siamo raggiunti dai colleghi dello Skytrail, appena risaliti dalla conca sottostante.

© Paolo Taglietti

Ne approfittiamo per fare un “tagliando” a scarpe ed equipaggiamento, poi saliamo. Contribuiamo all’ingorgo fermandoci in vetta per un selfie, poi con Paolo imbocchiamo la discesa. Saluto rapidamente l’amico Davide Spini (Guida Alpina di Morbegno e soprattutto Direttore di Gara) che sorveglia il teatro delle operazioni, poi giù per un canalone tenendo in mano la corda fissa. Senza i guanti (che non ho... voglia di tirare fuori dallo zainetto) non posso sfilarla tutta tra le mani, per non scarnificarmele: procedo alternando la destra e la sinistra. Non fa granché differenza e ho la sensazione di abbassarmi in modo più "presente" che non lasciando semplicemente (passivamente?) scivolare la corda tra le mani.

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In fondo al canalone, la pendenza si smorza ma io... mi accendo: abbandono la compagnia di Paolo (che precederò di una decina di minuti all’arrivo) e opero un paio di sorpassi nell’itinerario che porta all’ultimo (impegnativo) tratto attrezzato in discesa. Lo attacco dando una bella schienata contro un roccione ma lo zainetto attutisce il colpo, tipo airbag delle tute dei piloti della MotoGP! Come necessario e suggerito dagli esperti (oltre che dal buon senso), per attaccarmi al singolo frazionamento di corda o catena (la lunghezza tra un chiodo e l’altro) attendo che il collega che mi precede lo abbia a sua volta lasciato per passare a quello successivo. Solo che a volte chi mi segue non fa altrettanto. Finisce che ci sbilanciamo a vicenda, tirando la stessa corda: non proprio il massimo!

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Riempio le Cascadia di pietruzze e sabbia scivolando giù a tutta nel successivo ghiaione, tanto che il tratto di veloce sentiero che conduce al fondovalle della Val Federia (dove salutiamo i colleghi della “corta” che lì iniziano l’itinerario di rientro-beati loro… o forse no), finisce per trasformarsi in un vero e proprio supplizio. È comunque il mio momento migliore. So che non durerà, quindi vado avanti al meglio delle mie possibilità fino al successivo punto di ristoro, dove finalmente mi siedo per terra e svuoto le scarpe di tutto il loro “aguzzo” contenuto.

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Secondo cancello orario comodamente raggiunto, con un’ora di anticipo sulla sua chiusura (non sarà così per un centinaio di colleghi che la chiuderanno qui). Anzi più di un’ora perché - causa ingorgo al Piz da Rin - alle cinque ore e mezza sono stati aggiunti venti minuti.  Non ho più scuse, tocca insomma andare avanti...! Così sui due piedi il lungo e bucolico solco della Val Federia mi ricorda la amatissima Val Poschiavina, soprattutto nella sua parte alta, che raggiungo (insieme a uno snodo fondamentale della gara) dopo un lungo tratto che sale senza troppo fretta: prima su sentiero single-track, poi lungo il tracciato di una mulattiera che - inizialmente a svolte, poi dritto per dritto - conduce all’agriturismo di Alpe Federia, al cui punto di ristoro si abbandona il fondovalle per iniziare ad inerpicarsi (di nuovo su sentiero) a mezzacosta lungo un sentiero che taglia il versante orografico destro.

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Il mio momento migliore è ormai alle spalle, ormai piccolo piccolo laggiù in fondo alla valle. Il sole picchia duro (l’una è passata da un pezzo) e mi tocca approfittare di ogni singolo ruscelletto che percorre il fondo di ogni valletta perpendicolare al senso di marcia per dissetarmi e rinfrescarmi. Non fa che peggiorare: eccoci nella desolazione da deserto d’alta quota delle piste da sci… asciutte. Tiro avanti alla bell’e meglio, poi si cambia rotta, per un lungo traverso sostanzialmente in piano che ci porta al Monte delle Rezze (2858 metri slm), quarto ed ultimo GPM di giornata.

Parafrasando un recente best seller della letteratura di montagna: Otto montagne? Per quanto mi riguarda, quattro per oggi sono più che sufficienti! Al ristoro mi fermo poco: riparto all’inseguimento di un collega statunitense (è il mio tratto più internazionale, poco più avanti la spunterò su un trailrunner belga) e pochi passi davanti a Carlo Asnaghi di OSA Valmadrera. Ci scapicolliamo giù in tre, tenendo… le distanze tra di noi. Poi lo yankee allunga il passo, mentre Carlo mi raggiunge e mette la freccia. Oh Gesù, butta male. 

© ENDU

Laggiù in fondo, Livigno. Ma quanto è lunga ancora? Cerco di individuare la zona multicolore di partenza e arrivo ma…è ancora troppo lontana. Metto intanto nel mirino la candida e ben evidente copertura della Snow Farm (si nota bene nella foto qui sopra), meglio che niente. Gli ultimi dieci chilometri, iniziati poco fa al ristoro di vetta, sono un lungo e piuttosto corribile (per chi ne ha ancora) trasferimento in mezzo ai boschi due o trecento metri sopra i tetti di Livigno. Però intervallati da un paio di risalite "a tradimento" che - lo so per certo - hanno fatto male anche ai top runners, figurarsi a noi ritardatari! Appena prima dell’ultima impennata breve ma violenta, mi corre incontro nientemeno che Marco De Gasperi, organizzatore della gara e autore dell’itinerario. Ci salutiamo e - mentre proseguo - non posso fare a meno di pensare: caspita, lui potrebbe e dovrebbe essere giù all’arrivo a dare retta a quelli bravi e invece si attarda nella calura del pomeriggio ad incoraggiare e confortare noi, qui in mezzo… al nulla!

L’incontro, ne sono convinto, mi regala un po’ di "benzina" e almeno un paio di minuti in meno sul mio comunque mediocre tempo finale. Gli ultimi tre chilometri me li ricordo bene dalla mia precedente esperienza di quattro anni fa. Ad un certo punto sento delle voci alle mie spalle nel bosco, non troppo lontane. La successiva radura allo scoperto la faccio di volata, per nascondermi di nuovo nel bosco prima che i miei inseguitori si affaccino alla radura stessa e mi vedano: sarebbero magari ingolositi dalla possibilità di guadagnare una posizione, allungherebbero il passo e diventerei una facile preda. Tengo quindi un buon ritmo e oltrepasso il cartello dei due chilometri al traguardo.

© ENDU

Fuori dal bosco, all’altezza degli impianti di risalita. Ultimo chilometro: mi fermo un attimo e mi guardo indietro per capire se i “cacciatori” hanno comunque fiutato la suddetta preda, che sarei poi io. Nessuno in vista, campo libero. Calo su Livigno "bello" sollevato: me lo godo tutto fino in fondo, questo finale. Di nuovo sulla main street: via Ostaria, in questo tratto, per dire... della sete arretrata! Ecco laggiù il traguardo. Saranno duecento metri, ma sembrano il doppio. Red carpet ormai consumato dal passaggio delle duecentosessantasei paia di scarpe da trail che mi hanno preceduto sotto l’arco d’arrivo. Appena fermo ricevo il saluto dell’amico speaker Thomas Sosio, poi quello di Carlo (Asnaghi), al quale chiedo le generalità per poi poterlo citare qui! 

È fatta, anzi è finita: massimo risultato con… il massimo sforzo. Adesso posso anche andare serenamente a “morire” su una panca della zona pranzo, mentre a pochi metri di distanza va in scena la cerimonia delle premiazioni. Loro sono tutti belli, docciati e profumati. Io invece, uno straccio, anzi un’ombra. Individuo il percorso più breve verso il primo angolino tranquillo per - eventualmente - correre a rimettere senza ritegno… Cerco di non pensarci facendo le coccole a un affettuosissimo border collie di passaggio. Mi raggiunge l’amico Andrea Deidda e ce la raccontiamo. Poi (ma dopo una mezz’ora) mi metto in fila per il pranzo. Miracolo: salsiccia e polenta - anche se a piccoli bocconi - vanno giù senza problemi e soprattutto lì rimangono! La birra no, non ancora: scorrerà liberamente, ma solo tra qualche ora. In quota, per una bella cena ristoratrice by Brooks con annesso dj set e quant'altro.

Ritrovate le forze, mi tiro su e mi avvio verso l’hotel dove mi concedo una doccia rilassante e massaggiante della durata di almeno una ventina di minuti. Prima però (e solo chi ha corso la Skymarathon sa di cosa parlo) risalgo come un salmone stanco (e in direzione contraria) la corrente di Via Plan e lo “struscio” delle sei del pomeriggio di un sabato d’inizio estate a Livigno. Sudato, stropicciato, spettinato, le gambe coperte di fango secco e il pettorale ancora penzolante sulla divisa: Non ha prezzo! Impagabile, appunto. E indimenticabile!

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