Mordeva la vita e gli avversari. Questi ultimi senza metafore. Mike Tyson quella notte del 28 giugno regolò, a modo suo, i conti con Evander Holyfield. “Mi colpisci a un occhio rischiando di farmi perdere la vista? Io ti azzanno all’orecchio tanto non diventerai sordo”. Come dire, il farabutto sei tu. Poi, sai che ti dico, quella parte d’orecchio la sputo pure per terra.
“Filosofia” da strada, Brooklyn, la sua palestra naturale sin da bambino per portare, un giorno, le risse quotidiane sul ring. Quella sera all’MGM Grand Arena di Las Vegas, la strada che imboccò era quella del viale del tramonto: 3 milioni di danni per il danno arrecato e sospensione della licenza.
Riottenuta un anno e mezzo dopo per combinare altri pasticci: alcuni match di infimo livello fino alle botte definitive prese da Lennox Lewis nel 2002.
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Tyson che alleva amorevolmente piccioni e che picchia mogli e compagne, Tyson che soccorre un motociclista ferito e che picchia selvaggiamente su un aereo un passeggero.
Tyson ricchissimo e Tyson poverissimo dopo aver comprato 3 tigri, una vasca d’oro, 111 auto, interi palazzi. Tyson che, alla fine, ha morso soprattutto la polvere.