Per le ultime generazioni, Luis Suarez è quello del morso a Chiellini, uruguaiano dal sangue bollente e dagli incisivi pronunciati. Ma nella storia del Calcio il LUIS SUAREZ tutto maiuscolo è lui, il giocatore che Angelo Moratti strappò al Barcellona nel 1961. Coi soldi ricevuti, 300 milioni, la società blaugrana riuscì a completare i lavori del Camp Nou, rallentati dalla crisi finanziaria.
Suarez che vale uno stadio, Suarez che giocava a calcio, ma gli dava anche un senso. Alfredo Di Stefano lo chiamava l’architetto, l’artista. Insomma tutto meno che un semplice calciatore.
Arrivò all’Inter che era un numero uno: Herrera (che lo aveva già avuto al Barcellona) disse a Moratti: "Suarez ha la velocità di Bicicli, il palleggio di Corso, la forza di Lindskog, il dribbling di Sivori e il tiro di Altafini. Senza essere nessuno di loro. Dobbiamo prenderlo".
Arrivò con il Pallone d’Oro del 1960 già alzato. E fa impressione che sia ancora oggi l’unico spagnolo ad averlo fatto.
Con la grande squadra di Herrera ha vinto di tutto e di più, finì con un triennio alla Samp prima di dedicarsi alla panchina. Nell'emergenza anche quella dell’Inter nel 1995, quando era rientrato in società ancora per una chiamata di un Moratti, stavolta Massimo.
Ho avuto la fortuna di conoscere Luis, una persona amabile, sempre sorridente, di spirito positivo. La faccia da duro che metteva in mostra per le figurine Panini aveva lasciato spazio a una serenità che solo il passare degli anni ti porta. Con lui feci la mia prima telecronaca: 12 dicembre 1992, San Paolo-Barcellona. Ero agli esordi, teso ed emozionato, e lui- che ancora mi conosceva poco- cominciò a chiamarmi “Brandino”: tutto fu più facile e da quel giorno il mio nome diventò quello. Quando lo chiamavo con Maurizio Mosca per avere qualche suo giudizio pungente prima di Guida al Campionato (quante risate), quando veniva ospite a Controcampo, a Tiki Taka seduto in una posizione scomoda vicino a Wanda Nara, quando veniva a commentare la cerimonia del Pallone d’Oro e gli chiedevamo di portare il suo, per metterlo in mostra nello studio di Cologno. Era in realtà una replica, quello originale lo aveva donato al Barcellona, per il Museo della storia del club.
Ciao Luisito! Facchetti, Picchi, Corso, Sarti, Burgnich ti aspettano per un abbraccio. Sarete grandi anche lassù.
IL RICORDO
Era lui il vero Luis Suarez
Altro che il Suarez uruguaiano: Luisito unico nella storia del calcio
© ipp| Luisi Suarez ammira il suo Pallone d'Oro
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