Il sogno olimpico di Alex Schwazer è ancora vivo. Il marciatore azzurro è consapevole però che partecipare a Parigi 2024 è una sorta d'impresa. L'Aiu (organo inquirente e giudicante in materia di doping ed etica nell'atletica leggera) e la Wada (l'agenzia internazionale antidoping) da sempre sono contro di lui e non gli hanno perdonato la positività all'epo prima di Londra 2012. Il 38enne altoatesino però si sente vittima di un complotto. La seconda squalifica del 2016 è ritenuta da lui e dal suo allenatore Sandro Donati un'ingiustizia. E ora c'è una novità: Schwazer potrebbe ottenere uno sconto della pena per aver dato un "aiuto sostanziale" all'Aiu a smascherare un caso di doping.
In un'intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport però il marciatore ha detto di non avere aspettative, nonostante da regolamento avrebbe il diritto a uno sconto. "Tutto quello che è stato scritto è vero – ha confermato Schwazer -. Ho risposto a tutte le domande della Wada e attendo fiducioso, ma senza aspettative. Le mie convinzioni sono state già confutate troppe volte e anche le mie speranze… Sono passati due anni dalla mia testimonianza e da allora non ho cambiato niente della mia vita".
L'azzurro non si fa illusioni in merito a Parigi 2024: "All’Olimpiade di Parigi non voglio pensarci, perché al momento la data della mia squalifica rimane il 7 luglio 2024. Ho già perso almeno due occasioni olimpiche e non devo più farmi illusioni. E poi devo essere realista, ho 38 anni. Non voglio tornare a essere un professionista, ma non nascondo che mi piacerebbe tornare anche soltanto a fare una corsa in montagna".
Dopo la confessione di aver fatto ricorso all'epo il mondo dell'atletica gli ha voltato le spalle e ancora oggi lo tiene a distanza. "Non mi hanno mai perdonato la positività - racconta il 38enne altoatesino -. Per loro sono diventato infrequentabile. E lo capisco. Ma con alcuni campioni dello sport ho buoni rapporti, per esempio Deborah Compagnoni”.
Schwazer ha spiegato anche perché un atleta dotato del suo talento è caduto nell'inferno del doping. "Dopo l’oro di Pechino ho avuto una forte depressione. E solo chi soffre o ha sofferto di depressione può capire. Mi sentivo sempre stanco, non ragionavo, tutto mi costava fatica. Quando mi sono dopato, ero disperato e non vedevo altra via. Essere trovato positivo è stato una liberazione. Ero prigioniero del doping e la cosa incredibile è che andavo piano anche con l’epo. Quello che stavo facendo non aveva senso perché senza serenità, io non rendo. Io ho bisogno di sentirmi tranquillo e in pace con la coscienza per andare forte”.
In questi anni l'oro olimpico di Pechino 2008 ne ha passate tante, ma il momento più brutto della sua carriera è stato il viaggio verso l’aeroporto di Rio. "Il taxi è passato sul percorso della 20km che si sarebbe corsa il giorno dopo, ma io stavo tornando in Italia conscio della squalifica di 8 anni. Quel senso di nausea, di vuoto, non l’avevo mai provato e spero di non provarlo mai più. Nel 2012 sapevo di aver sbagliato. La colpa era mia e dovevo accettare le conseguenze. A Rio no: è stata un’ingiustizia”.
Il numero uno del Coni Giovanni Malagò nei giorni scorsi ha parlato di accanimento nei confronti di Schwazer. "L'ho ringraziato - confessa il marciatore altoatesino -. Non era scontato che il presidente del Coni e membro Cio lo dicesse. Malagò però ha detto che c’è stato accanimento, ma l’accanimento purtroppo c’è ancora". Al di là di Parigi 2024, Schwazer è determinato a combattere ancora per far emergere una volta per tutte la verità. "Continuerò a battermi perché prima o poi la verità venga a galla e venga riconosciuta l’ingiustizia che io e Sandro Donati abbiamo subito”.