IL RETROSCENA

Mancini, l'addio alla Nazionale studiato da marzo: voleva Psg o City

 Mancini ha firmato per la Federazione Saudita già da qualche settimana, e voleva lasciare gli Azzurri già dallo scorso marzo.

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@Getty Images

Partiamo da un presupposto: le dimissioni di Mancini e la sua firma per la Nazionale Saudita non sono nate all’improvviso in un giorno di agosto, perché come raccontavamo a Sportmediaset, il CT pensava all’addio già dallo scorso marzo. Ci risultava che il tecnico di Jesi, a partire dalle deludenti prove contro Inghilterra e Malta nell’esordio delle Qualificazioni a Euro24 (23 e 26 marzo), avesse iniziato a nutrire seri dubbi sul progetto azzurro, tanto da affidare a procuratori e operatori di mercato la notizia di essere disponibile a lasciare la Nazionale. Sperava fortemente in una chiamata dal PSG, poi andato su Luis Enrique.

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Era tutto vero, e la debole smentita di Mancini a nostra precisa domanda, nel corso di un’intervista rilasciata alla  Footballweek organizzata dalla Gazzetta lo scorso maggio, sembrava dare forza alle informazioni in nostro possesso (“io sul mercato? Tra poco c’è la Nations”. Stop, nient’altro da dichiarare). L’intenzione iniziale era quella di lasciare dopo le finali di Nations League dello scorso giugno, possibilmente con un trofeo in mano. A parte la speranza PSG (per cui Mancini non sarebbe stato una prima scelta), c’era anche una strada che portava al Manchester City, che  stava pensando proprio al Mancio come nuovo allenatore nel caso Guardiola avesse lasciato dopo la vittoria della Champions. Sullo sfondo però c’era già la ricchissima offerta della Nazionale Saudita, offerta che non è affatto nata dopo le dimissioni da CT azzurro. Mancini l’aveva accantonata nell’attesa che si concretizzasse qualcosa, come detto, con City o PSG.

Nel frattempo i dubbi di Mancini sulla possibilità di ricostruire un’Italia competitiva in vista dei mondiali 2026 crescevano, e la sconfitta contro la Spagna nella semifinale di Nations League in Olanda apriva altre crepe: Donnarumma e Acerbi parlavano di una Nazionale non più capace di divertirsi, Mancini imbeccato dai giornalisti sull’argomento rispondeva infastidito ai due giocatori, Bonucci dopo una topica clamorosa (costata il vantaggio spagnolo) veniva sostituito nell’intervallo, in un clima generale di tensione. Tensione che iniziava a intaccare anche il rapporto tra la Federazione e il Ct, invitato in quei giorni (vedi nostri servizi del 16 e 17 giugno scorsi) a snellire e ‘svecchiare’ lo staff. Probabilmente è questo l’inizio del “patatrac” finale. I dubbi e i tentennamenti di Mancini in quei giorni olandesi erano ormai cosa nota in FIGC, ma la strategia per  metterli a tacere si sarebbe poi rivelata un flop. Il Ct ottiene l’incarico di responsabile (oltre che della Nazionale maggiore) dell’Under 21 e dell’Under 20. Nel frattempo perde Evani, amico sì, ma già nei quadri federali molto prima dell’avvento del Mancio e già nello staff di Ventura.

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Insomma, non è l’allontanamento di Evani a determinare la rottura. Si genera però altra tensione perché non tutte le nomine all’interno del nuovo staff sono frutto di accordi Mancini-Figc (Bollini suo vice e Nunziata alla guida dell’Under 21, per esempio, sono scelte federali; il CT avrebbe fatto a meno di separarsi da Lombardo e la nomina di Buffon a capodelegazione è scelta personalissima di Gravina). In sintesi, l’estensione dei poteri concessi a Mancini dal Presidente Federale si rivela un’opera fatta a metà, non accontenta il CT scontento e non ottiene i risultati sperati. Poi il rifiuto federale di rimuovere la clausola di esonero in caso di mancata qualificazione a Euro 2024 fornisce al Mancio la spinta (e forse la scusa) per dimettersi e dire finalmente sì alla ricchissima offerta araba che nel frattempo è sempre rimasta valida.

Così hanno perso tutti. Al di là dell’ingaggio faraonico, perde Mancini perché a livello di immagine, piantando in asso la ‘sua’ Nazionale per guidarne un’altra, fa una gran brutta figura. Perde anche la Federazione perché, mancato il Mondiale, è rimasta in sella sfruttando il credito accumulato dal Mancio di fronte all’opinione pubblica  col trionfo europeo, per poi non riuscire a gestire ansie e malumori del CT e farsi maldestramente sorprendere da dimissioni che in realtà, essendo nell’aria da mesi, erano tutt’altro che imparabili.

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