L'Atalanta di Gian Piero Gasperini è ormai da anni una solida certezza del calcio italiano. In questa stagione sono Scamacca e De Ketelaere i giocatori che la Dea vuole valorizzare, come già successo in passato con molti calciatori, ma la gestione del "Gasp" non è sempre facile da digerire. Non lo è stato, per esempio, per Joakim Maehle. L'esterno danese, passato al Wolfsburg in estate dopo delle buone stagioni in nerazzurro, si è tolto diversi sassolini dalle scarpe dal ritiro della propria nazionale.
"Avevo bisogno di una nuova sfida - ha ammesso Maehle -, una squadra in cui potessi avere un ruolo diverso rispetto a quello ricoperto all'Atalanta dove sei sempre a rischio panchina. Al Wolfsburg mi sento parte di una squadra e lo spogliatoio è più unito, c'è buonumore. Cercavo questa sensazione da tempo".
Uno strappo arrivato più con Gasperini che con l'ambiente stesso come confermato dalle dichiarazioni di Maehle: "All'Atalanta non c'era alcuna libertà, non avevamo tempo di goderci il tempo libero e l'allenatore voleva sempre l'allenamento nel pomeriggio. Passavamo tanti giorni e tante ore al centro sportivo. C'era una approccio quasi dittatoriale di Gasperini, decideva tutto lui. Se era previsto doppio allenamento non potevamo tornare a casa a dormire, ma dovevamo restare nella struttura".
Maehle non usa mezzi termini per descrivere il proprio disagio nel ricordo dell'esperienza all'Atalanta, vissuta comunque da protagonista: "Non ti senti una persona, sei un numero e con l'allenatore non hai alcun rapporto. Può tormentare qualcuno per cose strane, per esempio non voleva che portassi Hojlund con me in macchina. Sono stato rimproverato. Era un po' una gestione basata sulla paura".