SKYRUNNING

Diavolo e acqua santa: è il sabba rock "a tutto Appennino" di Lago Santo Skyrace

Passo per passo la nostra avventura "sky" sul crinale appenninico tra Emilia-Romagna e Toscana

di
© Francesco Pierini

Il campanile della Chiesa Parrocchiale di Sant’Annapelago sembra lì da toccare ma è poco più di un’illusione ottica: manca ancora una manciata di chilometri al traguardo di Lago Santo Skyrace, la prova che ho scelto per chiudere come si deve il mese di settembre, lasciando da parte le numerose proposte alpine di un weekend tra i più affollati dell’anno e mettendo invece nel radar una sky appenninica. Sono fatto così: qualche volta mi va di voltare le spalle alle grandi montagne e andare a cercare posti nuovi per correre, a patto che il tasso tecnico sia all'altezza. Gare nuove da assaggiare e magari provare a lanciare. Perché chi - come gli amici del Team Mud and Snow - si getta nell’impresa di “impattare” eventi di ben più lunga tradizione e affrontare concomitanze (anche vicine) parecchio “challenging” merita sostegno, appoggio, financo complicità. Detto questo, il campanile è ancora laggiù e questo pratone bruciato dal sole di un'estate “che non vuol finire mai” (tanto per introdurre la prossima citazione musicale) è una sorta di piano inclinato con vista sulla piccola stazione sciistica di Sant’Annapelago che - dopo sei ore di gara - vale una sorta di... CCC: Chamonix, Canazei o Courmayeur!

© Francesco Pierini

Dormo poco nella notte
Mi sveglio, ballo da solo
Apro le mie braccia al vento
Chiudo gli occhi e prendo il volo
Per dimenticare tutto quello che di giorno provo
Ballo come un pazzo fino all'alba, fino al giorno nuovo

(“Fino al giorno nuovo” - Negramaro feat. Fabri Fibra)

© Stefano Gatti

L’alba del giorno nuovo (sabato 30 settembre) mi coglie già bello sveglio nella mia camera dell’Albergo Ristorante Sciatori che affaccia sulla caratteristica e raccolta piazzetta principale del paesino dell’Alto Modenese. Il vicinissimo campanile (ancora lui) non mi ha dato tregua, suonando tutte le ore… Appuntamento orario che mi ha ogni volta trovato con tutti i sensi accesi e le orecchie dritte. Pazienza, sono fuori dal letto e pronto “alla pugna” in men che non si dica. Prima però una bella colazione nella sala ristorante del comodissimo albergo a conduzione familiare. Sono al campo base del centro sportivo locale (nonché stadio del fondo) in pochi minuti. La strada la conosco: avevo già fatto una ricognizione notturna ieri sera, dopo cena e con il favore delle tenebre.

© Francesco Pierini

Il pregara della seconda edizione di ATK Bindings Lago Santo Skyrace (evoluzione verso l’alto di una prova di corsa in montagna andata in scena dal 2017 al 2019) è tutto un programma. Mica solo per modo di dire! Lo conduce - a modo suo ed è un modo che mi piace molto - il fantasmagorico e vagamente mefistofelico Gilberto “Gilbo” Zorat (anche il nome è tutto un programma!). Uno speaker? Macché: un performer! 

© Francesco Pierini

Parte un sabba rock mattiniero con riflessi magici ed esoterici, più che un pregara come tanti altri, anzi quasi tutti. “Zorro” ci carica a molla a ritmo rock, ma mica rock per modo di dire: Rollings Stones, Offspring, gli adorati Ramones, i Journey colonna sonora di “The Losers” (ecco, siamo già in tema). Mancano solo i The Clash, ma mi commuovo ugualmente. Tanti lo fanno al traguardo (dove a me viene solo da sorridere per averla sfangata un'altra volta), io invece al via. Ho già dimenticato di aver dormito poco, che peccato non mi sia apparso in sogno Joe Strummer.

© Francesco Pierini

A tenere il briefing tecnico è Omar Oprandi, Guida Alpina e Direttore di Gara qui come lo è della Skymarathon 4 luglio: così, per dire che qui si fa davvero sul serio. Una garanzia, insomma. Alle otto e trenta in punto lasciamo il cerchio di centrocampo o meglio la linea di partenza sotto il gonfiabile azzurro by SCARPA. Pronti via, su per il terrapieno, verso un primo tratto verde e campagnolo (anzi cross country) che mi tira già fuori tutto il fiatone che… non ho. Entriamo ben presto nel bosco e nel giro di pochi minuti dentro la foresta. Mi sorprendo a riscontrare una piacevole parentela con tratti appunto molto simili attraversati a maggio nella Villacidro Skyrace, in Sardegna.

© Francesco Pierini

Luce ancora estiva che filtra nel fitto della foresta, un fondo morbido e piacevole, colleghi che mi superano a destra e a sinistra… Vabbeh, pazienza: storia vecchia! Il richiamo della Sardegna sarà seguito, più in quota, da quello con i sentieri tra arbusti e macchia mediterranea del Trail del Ciapà di Cervo (Liguria): la latitudine è quella, l’appenninità (si può dire?) anche. Ah no, le montagne del Golfo Dianese sono già tecnicamente Alpi… Mi raggiunge il collega Edoardo Reginato. Scambiamo quattro chiacchiere e scopriamo di essere entrambi del “ramo”: nel senso dei motori. Io giornalista di Formula Uno e MotoGP, lui dipendente di Jetprime, technical sponsor di Aprilia Racing (il team ufficiale della Casa veneta) nella MotoGP stessa: entrambi appassionati di corsa in natura. Corriamo insieme per qualche chilometro ma Edoardo ha un passo più svelto e un piglio più brillante: al primo ristoro (Fontanone dei Pastori), mi lascia sul posto e infila una marcia in più. Raggiungerà il traguardo una quarantina di minuti abbondanti prima di me.

Riparto e - nel giro di pochi minuti - siamo sopra la quota di bosco e foresta e su tra i mirtilleti lungo una rampa che impegna tutti duramente alla volta della prima vetta di una “bella” collezione. Trattasi di Monte Romecchio, quota 1784 metri sul livello del mare: il lontano Adriatico o il più vicino Tirreno che - se non ci fosse un po’ di foschia - forse potrei addirittura inquadrare nell’orizzonte ottico! I bastoncini sarebbero di aiuto ma li lasciati nel bagagliaio di “Joe Black” (è il nome che ho dato alla mia Hyundai Kona), perché più avanti nei passaggi attrezzati avrei dovuto metterli via e non mi andava di incasinarmi. Avrò fatto bene? Mi sa di no!

© Francesco Pierini

La cavalcata lungo lo spartiacque tra Emilia-Romagna e Toscana copre tutta la parte centrale della prova: una decina di chilometri circa, vale a dire un terzo della distanza. Una linea continua interrotta solo da una breve ma importante divagazione. Subito dopo Cima dell’Omo (1860 metri) infatti appoggiamo sul versante sud per una sorta di... enclave emiliana in territorio toscano, alla cui quota più bassa (siamo in provincia di Lucca) si trova il ristoro di Bivacco Caciaia. Poco dopo aver riattaccato la salita per riguadagnare il crinale, entriamo “dritto per dritto” in un canyon che - appena inquadro dal basso - mi fa trasalire: Oh, Gesù… Sale con fondo di grossi massi tra due pareti di terra ed erba. In alto sbocca pochi metri sotto il crinale ma il sentiero in quel punto ruota di novanta gradi verso Passo della Porticciola ed è un niente - nell’inversione - per smuovere un sasso. Detto fatto: qualcuno ne fa partire verso il basso uno bello grosso, grande come un pallone da rugby che sibila giù ruotando sul suo stesso asse e alla velocità di un proiettile. Mi fermo "impietrito" (è proprio il caso di dirlo!) e cerco di mettermi al riparo perché se mi prende mi stacca la testa ma... come fai a sapere che traiettoria prenderà il “meteorite” al suo prossimo impatto? Ok, è andata bene, passa tre o quattro metri più in là e si ferma una cinquantina di metri più sotto, risparmiando anche chi mi segue…

© Francesco Pierini

Rotta per Monte Giovo che - con i suoi 1995 metri - è il GPM della gara. Primo cancello (quattro ore) smarcato in scioltezza: ci mancherebbe altro, diversamente sarei rimasto a casa! Il Giovo introduce al tratto più tecnico di Lago Santo Skyrace: quello di Grotta Rosa. In cima al salto verticale il direttore di gara Oprandi e un suo collaboratore sovraintendono alle operazioni: disarrampico faccia alla parete afferrando il cavo metallico e seguendo le istruzioni: “Piede sinistro su quell’appoggio lì, piede destro su quell'appoggio là (sembra Frankenstein Junior, per gli amanti del genere, ndr) e poi… continua così!". Via in piano o quasi, ora più rilassato, ma occorre stare in campana perché il bilancio-sorpassi pende sempre dalla parte sbagliata…  

© Francesco Pierini

Monte Rondinaio, quota 1963. La salita non offre difficoltà, la discesa è una bella gatta da pelare: ripida e tecnica. Occhi aperti e passo saldo, qui non si scherza. Un collega si offre di lasciarmi passare: preferisco mandare avanti lui. Scusa, amico ma… la strategia è strategia, anche qui nelle retrovie. Quando arriviamo su terreno più facile, si siede esausto su un sasso. Tiro dritto in direzione Lago Santo ed è l’unico modo per capire da che parte è l’Emilia e da che parte la Toscana…

© Francesco Pierini

Con discesa impegnativa e spettacolare (per fortuna limitandoci a contornare alla sua base il Monte Rondinaio Lombardo, parente di quello di prima), puntiamo di nuovo verso la vegetazione ad alto fusto: il passaggio avviene in fondo a un canalino molto tecnico, divertente e stavolta privo di rischi. Non ci vuole molto a raggiungere prima il piccolo Lago Baccio e poi il Lago Santo, “annunciato” dai lamenti di un collega che è incappato in una brutta storta. Mi fermo a sincerarmi delle sue condizioni e mi impegno ad avvertire i tecnici del Soccorso al vicino ristoro, presso il quale mi bagno abbondantemente e tiro un attimo il fiato. Secondo e ultimo cancello orario (cinque ore e trenta) superato: con quale anticipo non saprei, stavolta neanche ci bado. Appena riparto, il secondo accenno di crampi della giornata mi regala momenti ben poco piacevoli. Mi massaggio un po’ senza smettere di avanzare, poi torno a correre, inizialmente con circospezione. Non so se sia la tecnica giusta ma intanto passa e mi rassereno. Diversamente da quanto pensavo, la traccia torna a salire.  Ero convinto fosse ormai solo discesa fino al traguardo: si vede che ho fatto male i compiti ma d’altra parte cosa vuoi pretendere da una trasferta-lampo di ventisette ore e seicento chilometri incastrata a forza (di volontà e incoscienza) dentro un weekend a base di lavoro notturno e albeggiante causa GP del Giappone MotoGP a sette fusi orari di distanza?

Di nuovo e implacabilmente in salita, dentro uno scenario completamente nuovo: un sentiero a mezzacosta tutto strappi, su un fondo nero e granuloso (a tratti finissimo e “affondevole”) che mi ricorda quello trovato alla fine di maggio sul versante orientale dell’Etna, appena sopra il Rifugio Sapienza. E poi rada vegetazione, sentiero single track e una calura piuttosto opprimente ma poi tutto sommato gestibile. Scavalliamo un passetto del quale ho dimenticato di annotare il nome e cambiamo versante: via lungo un bel traverso molto corribile (per me non integralmente). Davanti agli occhi un pendio ripido che conduce in cima ad una montagna. Prego che non ci sia da salire anche là sopra! Mentre lo faccio, eccoli là i colleghi che mi precedono. Precisamente dove non vorrei vederli: in piena rampa! La attacco anch’io e la risalgo al rallentatore. Per fortuna è più breve del previsto. Saluto con un rantolo indecifrabile la volontaria che mi indica la via e mi lancio (leggi: scaracollo in equilibrio instabile) in direzione di una cresta bella affilata che finisce risalendo l’ennesima rampetta. E siamo al pratone brullo di cui all’inizio, se Dio vuole. Non ne ho più per un cambio di passo apprezzabile.

Mi avvento senza fretta nel bosco e poi dentro una freschissima foresta e fino al bivio del ristoro di Vaccherecce. Gli ultimi tre chilometri sono un po’ sofferti. Anche perché, una volta sbarcato tra le viuzze di Sant’Annapelago, l’asfalto sale a più riprese e senza tanti complimenti. L’ultima salita è quella sul terrapieno affrontato in senso inverso pochi secondi dopo il via, ormai sei ore fa.

© Italo Spina

Laggiù in mezzo al campo sportivo c’è ancora Gilberto Zorat che si “accende” appena mi vede: tocca rimettermi a correre fino al traguardo, dove ci diamo il cinque. Dopo è solo la dolce soddisfazione di “mission accomplished”, una bella birrona lasciata malvolentieri ma necessariamente a metà (mi aspetta il viaggio di ritorno e la patente mi serve) e la doccia rigenerante in albergo, dove il proprietario mi ha fatto la cortesia di concedermi un bel “late checkout”. Prima però, con lui e con lo chef, mi fermo a raccontarla un po’ su. Dopo la doccia resisto alla tentazione di buttarmi sul letto un attimo… che non sarebbe un attimo e farei tardi. Mi viene in mente che la sera prima per addormentarmi (si fa per dire) avevo visto in tv uno dei miei film preferiti, vale a dire “The Martian: sopravvissuto”. Ecco, appunto, volendo divagare: il marziano è casomai Daniel Antonioli che ha vinto con il nuovo record e se avesse proseguito oltre il traguardo per un secondo anello mi avrebbe raggiunto e… doppiato. Lui marziano, io… sopravvissuto! Poi scendo nella hall e mi congedo con un “Ci vediamo l’anno prossimo” che la dice lunga sul voto - bello alto - assegnato a questa esperienza sky appenninica!

© Italo Spina

Sono solo uno tra i tanti, sono solo un uomo
Scoppio se non c'è uno scopo, soffoco se resto sotto
Fatevi sotto
Ma dove sono? Dove mi trovo?
Faccio uno sbaglio dietro l'altro come mi muovo
Ma ho camminato così tanto
Taglio il traguardo, forse sto sognando
Gli incubi non mi raggiungeranno fino al giorno nuovo

(“Fino al giorno nuovo” - Negramaro feat. Fabri Fibra)

© Stefano Gatti
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