"Era venuto il momento di passare la mano. C'erano già le avvisaglie di quello che sarebbe diventato il mondo del pallone: questo è un calcio che una famiglia, ma dovrei dire un uomo solo, non è in grado di gestire in rapporto a un club di primissimo livello". Così Massimo Moratti racconta oggi alla Gazzetta di Parma la decisione di vendere l'Inter a Erick Thohir. L'addio al club esattamente dieci anni fa, il 15 novembre del 2013, e in una lunga intervista al quotidiano parmigiano l'ex presidente nerazzurro rivela di come l'Inter non gli manchi perché "non ho proprio avuto il tempo per farmela mancare".
Oggi, dice sempre Moratti, "allo stadio preferisco la tv" e "seguo l'Inter da tifoso, naturalmente, e sento un buon clima intorno alla squadra. In questo momento mi sembra solida e costante nel rendimento". Poco stadio ma per San Siro l'amore resta: "Non vedo la ragione per buttarlo giù. È un simbolo del calcio milanese e, in definitiva, di tutta Milano".
Sul suo passato da presidente ricorda: "Lo scambio tra Ibra e Eto'o, il mio colpo più clamoroso, più anche di Ronaldo" ed il rapporto con Mourinho che "fa del lavoro la sua religione". Sui giocatori ecco poi il nome di Recoba ("È il calciatore che mi ha entusiasmato di più, mi ricordava Corso), ma anche il rimpianto Pirlo, "cederlo al Milan è stato un errore. Forse avremmo dovuto aspettarlo..."
Infine una considerazione sul calcio di oggi: "Ci stupiamo, giustamente, se un giocatore scommette sulle partite, ma dimentichiamo che ci sono club sponsorizzati da aziende di allibratori. Non è questo il calcio che piaceva, e piace, a me".