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Tennis, l'Italia di Sinner come quella di Panatta: gli azzurri potrebbero aprire un ciclo

La squadra guidata dall'altoatesino ha superato per 2-0 l'Australia ponendo i presupposti per una serie di vittorie nei prossimi anni 

Coppa Davis, il film della finale Italia-Australia

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Il secondo trionfo dell'Italia in Coppa Davis è una delle pagine più emozionanti del tennis italiano. Tornare ad alzare l'Insalatiera dopo quarantasette anni davanti a una "bestia nera" per eccellenza come l'Australia ha rappresentato il picco per un gruppo che si è dimostrato capace di andare ogni criticità, fra infortuni, polemiche e avversari di livello mondiale. Quanto realizzato da Jannik Sinner e compagni potrebbe rappresentare l'apertura di un ciclo vincente per il movimento tricolore, frutto dell'unione di un gruppo che ricorda quello del 1876 con capitano Nicola Pietrangeli, pronto a passare il testimone come mostrato sul podio di Malaga

Le differenze sono evidentemente notevoli, dal format del torneo all'impegno richiesto dai giocatori, eppure ci sono alcune somiglianze che non possono balzare all'occhio a partire dal clima d'unione che si vive in squadra. Se negli Anni Settanta faceva notizia la divisione fra il "clan" di Adriano Panatta e Paolo Bertolucci e quello di Corrado Barazzutti e Tonino Zugarelli, le rivelazioni degli ultimi anni dei diretti protagonisti e l'atteggiamento mostrato in campo dagli stessi hanno smentito tutto ciò mettendo in luce piuttosto un'unione d'intenti che ha permesso loro di andare oltre le avversità politiche dell'epoca e fare quadrato nel momento in cui c'era da vestire la maglia della Nazionale. Anche di fronte alle situazioni più complicate come la decisione di non prendere parte alla finale di Santiago del Cile oppure la bruciante eliminazione al primo turno con l'Ungheria causata da un Panatta alle prese con i problemi economici della sua società. 

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Proprio quando tutto sembrava dover crollare, gli azzurri hanno sempre dimostrato di poter serrare le linee e riportare in alto la Nazionale come avvenuto a Bologna lo scorso settembre quando l'Italia si è trovata con le spalle al muro dopo il 3-0 dal Canada campione uscente. Costretta a vincere con Svezia e Cile, gli azzurri sono riusciti ad accedere alla Final Eight soprattutto grazie all'apporto di Sinner, assente per potersi preservare in vista degli appuntamenti individuali e al centro di una serie di polemiche che avrebbero fermato chiunque. Il 22enne di Sesto Pusteria non è però scomparso dai radar e, attraverso l'ausilio della tecnologia, ha fatto sentire la proprio vicinanza ai compagni di squadra offrendogli consigli preziosi per passare il turno.

Medesimo discorso si potrebbe fare per Matteo Berrettini, fermato dall'ennesimo infortunio di un'annata sfortunata e costretto a saltare l'appuntamento più importante della carriera. Nonostante la consapevolezza di non poter alzare per la prima volta in carriera l'Insalatiera, il tennista romano non si è fatto scoraggiare dalla sfortuna presentandosi a bordo campo sia nella città emiliana sia a Malaga diventando un secondo capitano non giocatore oltre a Filippo Volandri e spingendo come un ossesso i propri colleghi dalle tribune.

L'altro aspetto che accomuna l'Italia del 2023 a quella del 1976 è l'attaccamento alla maglia azzurra mostrato dagli stessi giocatori, nonostante nel corso degli anni gli impegni si siano moltiplicati in maniera esponenziale. Andando oltre le critiche lanciate dall'opinione pubblica verso Sinner per la sua assenza nel primo turno, nessuno dei giocatori che compone la squadra ha mai messo in primo piano i propri obiettivi personali penalizzando quelli del team azzurro. Lo stesso bolzanino ha poi spiegato come la decisione di non esser presente a Bologna fosse stata concordata con la Federazione proprio al fine di dare il proprio apporto nella fase finale al meglio delle proprie possibilità. 

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La decisione di scendere in campo con Djokovic anche in doppio dopo una maratona di oltre due ore è la dimostrazione che l'amore per il proprio paese vada oltre qualunque altro interesse, così come la capacità di Lorenzo Sonego di accettare in silenzio la scelta di Volandri di non schierarlo nel primo singolare, ma puntare sul doppio con il rischio di non scendere nemmeno in campo in caso di vittoria da parte dei colleghi nei primi due match, eventualità che è divenuta realtà proprio nella finale con l'Australia. Poco importa se non si ha lasciato il segno in uno degli incontri più importanti della storia dello sport italiano, ciò che conta è far del bene per il gruppo.

Lo stesso ragionamento che deve aver fatto Simone Bolelli, doppista per eccellenza negli ultimi anni in compagnia di Fabio Fognini (assente per scelta tecnica), ma ritrovatosi improvvisamente a svolgere il ruolo di spettatore non pagante. Il 38enne bolognese ha vissuto la discesa agli inferi della Serie C tennistica per poi osservare da protagonista la risalita sino alle vette più importanti di questa disciplina senza esprimere alcuna critica, nemmeno in occasione della semifinale del 2022 con il Canada nel quale Volandri gli preferì un acciaccato Berrettini nel doppio decisivo. 

Il medesimo atteggiamento è stato messo in luce da Lorenzo Musetti e Matteo Arnaldi, con il primo che si è visto escludere dal quartetto titolare dopo la brutta sconfitta con Miomir Kecmanović nella semifinale contro la Serbia, mentre il secondo ha dovuto lasciare spazio al carrarese al termine dell'incontro con Botic van de Zandschulp. Scendere in campo non deve essere un obbligo, ma soltanto un contributo per raggiungere i traguardi più prestigiosi tutti assieme. 

Come l'Italia del 1976 riuscì a centrare altre tre finali nelle successive quattro edizioni, quella del 2023 potrebbe tranquillamente migliorare questo score complice il ritorno di Matteo Berrettini e la crescita di una serie di giovani che, dopo aver trionfato in quel di Malaga, non possono far altro che aprire uno dei più bei cicli di sempre. 

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