ALPINISMO

I Ragni di Lecco sul Cerro Torre: mezzo secolo dall'impresa dei "Maglioni Rossi"

La storica ricorrenza velata solo dalla recente scomparsa di Mario Conti, unico superstite dei quattro Ragni in vetta alla spettacolare guglia andina

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© Archivio Ragni di Lecco

È trascorso mezzo secolo da una delle realizzazioni più leggendarie e significative nella storia dell’alpinismo: una pagina al cui angolo è giusto fare un'orecchia che permetta di... tornare ad ascoltare l'eco di voci e suoni in arrivo da un tempo lontano. Una pagina alla cui altezza posizionare un segnalibro: per ritrovarla subito, come è giusto fare a cinquant’anni dall’apertura della via dei Ragni al Cerro Torre. Era il tardo pomeriggio di domenica 13 gennaio 1974 quando Casimiro Ferrari e Mario Conti, subito seguiti da Daniele Chiappa e Pino Negri, mettevano piede sulla calotta sommitale del fungo di ghiaccio che “custodisce” la punta rocciosa di una delle montagne più simboliche e riconoscibili del nostro pianeta. L’anniversario dell’impresa messa a segno dai Ragni di Lecco lungo la parete ovest della spettacolare lama di granito e ghiaccio sudamericana è stato celebrato in queste prime settimane del nuovo anno dai membri del prestigioso ed esclusivo sodalizio dei Ragni (i “Maglioni Rossi”), da storici e appassionati di alpinismo di tutto il mondo e naturalmente di Lecco, sede e quindi in un certo senso "punto zero" di tutte le spedizioni e le realizzazioni dei Ragni. Sulle montagne di casa (a partire dal gruppo delle Grigne) come sulle Alpi, in Himalaya e Karakorum e sulle Ande appunto (il Torre svetta con i suoi 3128 metri di roccia granitica sul settore patagonico della catena). Tante e diverse le iniziative: a Lecco anche con uno show di luci e colori sugli edifici del centro storico cittadino che hanno prolungato in senso… alpinistico le luminarie delle festività. Uno spettacolo sul quale ha gettato un’ombra malinconica solo la scomparsa del settantanovenne Mario “Zenin” Conti (insieme al capospedizione Ferrari uno dei due componenti della prima cordata in vetta), disperso da due mesi sulle montagne subito a nord della città di Sondrio, capoluogo della Valtellina.

© Archivio Ragni di Lecco

Quattro Ragni sul Fungo di Ghiaccio: sembra il titolo di una favola, invece è una realtà che nel corso del tempo si è trasformata in una vera e propria eredità. In tutti i sensi impegnativa ma saldamente in mano - in questi ultimi cinquant'anni - ad alcuni tra i più validi interpreti dell’alpinismo: i Ragni della Grignetta, come è anche conosciuta la Grigna Meridionale che - insieme a quella Settentrionale (il Grignone") - sovrasta i tetti di Lecco.

© Archivio Ragni di Lecco

Classe 1944, il settantanovenne Mario Conti era l’ultimo sopravvissuto dei quattro “summiters” originali del Cerro Torre lungo la parete ovest. Casimiro Ferrari (classe 1940) è scomparso nel 2001, pochi mesi prima di Pino Negri (classe 1945). Daniele Chiappa (classe 1951, il più giovane dei quattro) manca ai Ragni dal 2008. Date che - riportate al presente, mettono in risalto la giovane età dei quattro (e per diretto riflesso classe, coraggio e intraprendenza) al momento di mettere piede sulla vetta del Torre: trentaquattro anni per il leader, trenta giusti giusti per lo sfortunato "Zenin", ventinove per Pino, solo ventitré per Daniele, forse non a casa soprannominato "Ciapin" e scomparso non ancora cinquantasettenne (nel 2008), sette anni dopo Ferrari e Negri, quest’ultimo a sua volta morto tre mesi prima di compiere cinquantacinque anni.

© Archivio Ragni di Lecco

Mario, Casimiro, Daniele e Pino sono ricordati come i grandi protagonisti della via dei Ragni al Torre ma - a partire da loro e poi via via fino ai Ragni di oggi - il merito del successo lungo quella che oggi è una via classica di estremo impegno ma cinquant’anni fa era un’impresa visionaria, difficile da immaginare prima ancora che da progettare, è sempre stato diviso da tutti i dodici membri della spedizione. Per via di tutto il lavoro preparatorio alla base della montagna e sulla sua parete sudovest nelle settimane precedenti al successo e per la decisione-chiave di allontanarsi dalla montagna lasciando alle due cordate di punta tutto il necessario (a partire dalle scorte di cibo) per poter dare vita all’ultimo tentativo, poi appunto sfociato nell’approdo in vetta, con i ramponi a grattare per la prima volta nella storia dell'umanità il ghiaccio poroso della cima. A sacrificare le legittime ambizioni personali in nome di uno spirito di gruppo che è elemento fondante dell’identità dei Ragni furono gli altri otto membri della spedizione “Città di Lecco” al Cerro Torre, che aveva preso il via nell’autunno del 1973/74: Pierlorenzo Acquistapace, Gigi Alippi (vice capospedizione), Claudio Corti, Giuseppe Lafranconi, Ernesto Panzeri, Angelino Zoia, il dottor Sandro Liati e Mimmo Lanzetta.

© Archivio Ragni di Lecco

Per inquadrare opportunamente l’impresa nel suo contesto storico, è giusto ricordare che (dopo il K2), anche il Cerro Torre può essere considerata una “montagna degli italiani”. A patto, nella nostra visione, di sgombrare il campo da connotazioni nazionalistiche comuni negli anni Cinquanta ma non più vent’anni più tardi. In ogni caso, l’heritage italiano sul Torre ha origine nel biennio 1958-1959 e nella “corsa” al Torre che contrappose le spedizioni molto ridotte negli effettivi (ma molto ambiziose) che avevano i loro elementi di punta in Cesare Maestri (con il corregionale Mauro Detassis, in azione sulla parate nord della montagna) da una parte e in Walter Bonatti (con Carlo Mauri, entrambi Ragni) dall’altra.

© Archivio Ragni di Lecco

Non è questa la sede per dilungarsi su quelle vicende e sue quelle controversie, ma vale la pena ricordare la tragedia che colpì (nel 1959) il secondo tentativo dello stesso Maestri, con la morte del suo compagno di spedizione Toni Egger e la presunta riuscita in vetta del grande rocciatore trentino, smentita però in seguito da altri alpinisti di vaglia che - cimentandosi lungo lo stesso itinerario di salita - non trovarono prove e riscontri certi sulle caratteristiche del terreno e su un passaggio precedente nella parte finale della via stessa. Maestri tornò polemicamente sul Torre nel 1970, attrezzando la via (sulla parete su-est stavolta) con l’utilizzo di un ingombrante compressore, senza raggiungere la vetta (il fungo di ghiaccio) e lasciando poi lassù il pesante, assicurato alla parete. Nello stesso 1970 i Ragni erano tornati al Torre con una spedizione guidata da Carlo Mauri che avrebbe in un certo senso fatto da apripista a quella che viene oggi celebrata. Quattro anni dopo (cinquant’anni fa, appunto) a mettere fine a quella penosa e controversa vicenda i Ragni avrebbero consegnato alla storia dell’alpinismo (finalmente... al di là di ogni ragionevole dubbio) quella che è ormai la prima salita accertata, accettata e quindi ufficiale fino alla vetta della montagna-simbolo della Patagonia.

© Archivio Ragni di Lecco

Per rivisitare l’impresa del 1974 alla luce dell’evoluzione dell’alpinismo negli ultimi cinquant’anni ci siamo rivolti a due Ragni di oggi che sull’argomento la sanno lunga e per esperienza diretta: Matteo Della Bordella e Luca Schiera. Il primo membro del gruppo dal 2006 e suo presidente dal 2018 al 2021. Il secondo Ragno dal 2013 e presidente dal 2001 succedendo proprio a MDB, al quale lo accomuna anche l’appartenenza al CAAI (Club Alpino Accademico Italiano).

© Archivio Matteo Della Bordella

Sia il trentanovenne varesino Matteo che il classe 1990 Luca hanno realizzato in Patagonia alcuni dei loro progetti sportivi più ambiziosi. Schiera non più tardi dello scorso autunno, scalando il Cerro Nora Este con Paolo Marazzi lungo una nuova linea di salita che poi i due Ragni hanno dedicato proprio a Mario Conti: la via "Zenin", appunto.

Ormai un habituè della Patagonia nell’estate australe, Della Bordella ha da ripetuto cinque anni fa la storica via dei Ragni al Torre e lo ha fatto insieme a Nicola Lanzetta, figlio di uno dei membri della spedizione del 1974. Ad attenderli al campo base c’era in quella occasione proprio Mario Conti. Per tutte queste ragioni, ci è sembrato logico e doveroso chiedere a Matteo e a Luca anche un pensiero sul grande alpinista (e fonte di ispirazione) del quale si sono perse le tracce alla metà dello scorso mese di novembre.  

© Archivio Ragni di Lecco

LUCA SCHIERA

Esattamente mezzo secolo fa quattro alpinisti lecchesi arrivavano in cima ad una delle più affascinanti e difficili montagne al mondo: il cerro Torre in Patagonia. In quella metà degli anni Settanta furono salite alcune montagne fino ad allora reputate inaccessibili, come ad esempio la Torre di Trango in Pakistan o il Changabang in India. Montagne dai nomi spesso strani che non diventarono mai popolari presso il grande pubblico perché queste ascensioni iniziavano a diventare sempre più tecniche e sempre più riservate agli specialisti. Proprio come le terribili formazioni di ghiaccio strapiombanti della parete ovest del Cerro Torre, segnando una evoluzione nelle tecniche senza precedenti e ridefinendo il concetto di impossibile. Fu una epoca di grandi cambiamenti: nei materiali e nel modo di affrontare le salite, ma anche nella società in generale che però non intaccò quelle che erano le motivazioni che ancora oggi spingono le persone ad andare in montagna. Tra le tante della storia del Gruppo Ragni, La salita del Torre è quella che secondo me più di tutte condensa questi aspetti. C'era un obiettivo estetico ma difficile da raggiungere, forse impossibile quando nel lontano 1958 ci provarono Bonatti e Mauri. La forza di riprovarci dopo i tentativi andati a vuoto, il passaggio di generazione (quello da Mauri a Ferrari dopo il tentativo del 1970), e infine la riuscita del 1974 grazie ad un perfetto lavoro di squadra. Nel team di vetta - oltre a Casimiro Ferrari ovviamente - c'erano i più giovani Pino Negri e Daniele Chiappa e poi Mario Conti che ebbe un ruolo cruciale nelle riuscita. Da lì in poi Mario ha scalato in tutto il mondo: dall’Himalaya all'Africa oltre che innumerevoli volte in Patagonia, diventando per le generazioni successive una figura di riferimento.

© Archivio Matteo Della Bordella

MATTEO DELLA BORDELLA

Al di là della sua ‘cifra’ di grande alpinista, Mario Conti è stato un grandissimo amico, una persona cara sia a me che a tutti noi. Era di poche parole ma riusciva a trasmettere tanto e mi ha anche insegnato molto sulle scalate in Patagonia. Mi ricordo ancora che, quando io stesso ho ripetuto la via dei Ragni al Torre nel 2019, lui era li’ con noi a El Chaltén. Al ritorno dalla vetta abbiamo festeggiato assieme e vedevo la scintilla di felicità brillare nei suoi occhi quando ci raccontavamo a vicenda di questa via. Momenti veramente belli e forti con Mario, legati, alla Patagonia e a questa via. La sua scomparsa così improvvisa ci ha lasciati tutti a bocca aperta e tristi, ed è difficile farsene una ragione. Siamo rimasti tristi e con l’amaro in bocca perché al di la degli acciacchi fisici Mario era una persona che stava bene ed era veramente cara a tutti noi. 

© Archivio Matteo Della Bordella

Dovendo scegliere tra le tantissime vie aperte dai Ragni in tutto il mondo nella loro storia, per me quella al Torre è la più importante in assoluto. Per diversi motivi. Prima di tutto perché il Cerro Torre - almeno per quanto mi riguarda - è la più bella montagna del mondo: unica e incredibile. Salire una via così con l’attrezzatura di cinquant’anni fa è stato un exploit visionario e fuori dal tempo, difficile anche solo da immaginare. E poi perché la salita è stata portata a termine con un grande spirito di squadra. È stata la storia di un gruppo di dodici alpinisti: in cima sono andati ‘solo’ in quattro ma lo spirito di gruppo era molto forte. Per questi motivi la via dei Ragni al Torre è stata la realizzazione del Gruppo che più mi ha fatto sognare di fare alpinismo e di scalare in Patagonia.  

© Archivio Ragni di Lecco
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