Mercoledì, sul suo profilo Twitter, Mick Schumacher ha scritto: “La mia pista preferita mi aspetta e io sono pronto”. Il riferimento era a Spa, circuito che ha esaltato il talento del suo papà, nastro di asfalto sul quale ogni ragazzino che corre sui kart sogna di corrrere un giorno. Infatti si tratta dell’ultimo tracciato che ha conservato il fascino di un tempo. Spa contiene un tratto leggendario, due curve che si percorrono in apnea. Eau Rouge e Radillon. Discesa e salita, in mezzo una compressione che ti schiaccia al suolo.
Anche Anthoine Hubert la pensava come Mick, perché se corri lì, anche se guidi una macchina di Formula 2, significa che il tuo percorso è quello giusto. Quest’anno Hubert aveva vinto due gare, Monaco e Le Castellet, gioia doppia per un pilota francese, oltretutto nell’orbita della Renault. Purtroppo la sua esistenza si è conclusa nella curva più bella del mondo. Una fatalità, un impatto che ricorda quello di Alex Zanardi al Lausitzring nel 2001, quando la sua macchina venne divisa in due da quella di Alex Tagliani. Un lutto difficile da smaltire, vista l’età. Ma si tratta di materiale da mettere in conto quando decidi di correre in macchina o in moto. Una paura che il pilota mette in un angolo e cerca di controllare. Per questo sorprende l’ipocrisia di chi controlla questo mondo, pronto a censurare le immagini dell’impatto, come se servisse a una pulizia di coscienza, dimenticando i rischi connessi a chi intraprende questa professione. Una policy che risale alla morte di Ayrton Senna, quando, mesi dopo il tragico incidente di Imola, venne vietato alle televisioni di riproporre l’impatto all’uscita del Tamburello. Paradossalmente è come se nelle commemorazioni dell’11 settembre venisse impedita la trasmissione delle sequenze dell’attentato alle Torri Gemelle. Trattasi di diritto di cronaca, materia che andrebbe rispettata sempre e comunque.