Neve, ghiaccio, cadute, la vista che se ne va e tanto latte: il Tor de Geants di Oliviero Bosatelli

Il racconto del gigante bergamasco della sua seconda vittoria in Valle d'Aosta

Con i suoi 330 chilometri sviluppo ed i 24mila metri di dislivello positivo, il Tor des Geants è uno degli endurance trails a più duri al mondo. Eppure i grandi numeri non rendono fino in fondo giustizia alla durissima prova sulle Alte Vie della Valle d’Aosta. A farlo sono invece (a nostro parere) le grandi donne ed i grandi uomini che affrontano il Tor, che lo soffrono, che lo corrono, che spesso gli si devono arrendere (per poi tornarci). E che in qualche caso lo vincono. Come quest'anno ha fatto Oliviero Bosatelli, vigile del fuoco di Gandino (BG) e capitano dello Scott Running Team Italia. Nemmeno ventiquattro ore dopo il suo arrivo - da vincitore, appunto - a Courmayeur, lo ha raggiunto per noi la sua conterranea Tatiana Bertera Manzoni che, nell'intervista che segue, ne ha raccolto le impressioni a caldo, il racconto della gara, gli aneddoti più curiosi. Insomma, il "cuore" della sua esperienza ma poi appunto … quello del Tor stesso: qualcosa di molto più profondo e più "alto" dei 330 chilometri e dei 24mila metri di dislivello.

Oliviero, il tuo arrivo è stato accompagnato dal ritornello di “Eh … già” di Vasco Rossi. Un cantautore mitico, un po’ come mitico è stato il tuo traguardo, che ti catapulta di diritto nella storia del Tor Des Géants. “Eh già, io sono ancora qua”, per la seconda volta sul primo gradino del podio. Prima di te l’unico riuscirci era stato Franco Collè. Punti al tris?
 Così, a caldo, mi cogli impreparato. Cominciamo a lasciar finire questo Tor 2019, al prossimo ci penseremo (ride, ndr). Tutte le volte che faccio gare così lunghe ed estenuanti il primo pensiero è ‘Ma chi me lo fa fare?’. Poi però ci sono i risultati e tutta la fatica passa in secondo piano, surclassata dalla soddisfazione.

Non dice di no Oliviero Bosatelli. Una terza vittoria (la prima nel 2016) lo farebbe passare alla storia. Ma torniamo con la mente indietro di settantadue ore, al momento della partenza. Quali erano le sensazioni?
Ero in forma, ben preparato e fiducioso di poter fare un buon tempo, che per me equivaleva ad arrivare tra i primi cinque. Dalla piazza di Gressoney guardavo verso l’alto e vedevo già, sulle montagne, la bufera. Siamo partiti e dopo neanche cinque chilometri eravamo già con i piedi nella neve. Giacca a vento e via. Per tutta domenica ed anche il lunedì mattina ho patito il freddo e soprattutto i grossi sbalzi termici dovuti ai continui saliscendi. Ricordo i ruscelletti ghiacciati che scricchiolavano sotto alle suole delle scarpe al mio passaggio. Nei punti più alti e più freddi abbiamo toccato i 10-12 gradi sotto lo zero.

Hai avuto dei disturbi, soprattutto legati alle temperature rigide?
Verso domenica sera sono caduto qualche volta e quindi sono arrivato alla base vita con entrambe le ginocchia insanguinate, ma questo è un dettaglio che non ha compromesso l’andamento. Sono state invece due le volte in cui ho temuto di dover abbandonare: la prima tra domenica e lunedì, quando mi si è appannata la vista (fortunatamente da un solo occhio) per quattro-cinque ore. Ho pensato ‘Se diventa nero anche dall’altra parte, sono fregato!’. Fortunatamente (si fa per dire!) avevo già avuto una simile esperienza in occasione della Grande Corsa Bianca in Adamello. Mi avevano spiegato che la neve ed il freddo possono appannare o ghiacciare momentaneamente il cristallino. E poi martedì pomeriggio, quando ho avuto un inizio di bronchite e mancavano ancora una settantina di chilometri. In questi momenti provi un grande sconforto.

La montagna può essere spietata e non fa sconti, e questo Oliver (come lo chiamano gli amici) pare saperlo molto bene. Soprattutto quest’anno, che il Tor ha voluto indossare, almeno per un po’, il mantello dell’inverno. Settantadue ore corrispondono a tre giorni, nei quali Bosatelli non ha mai dormito. Ma chi c’è dietro? Chi sono i co-protagonisti di questa avventura da giganti? Il Tor è una gara estrema, in cui ci sono gli atleti e ci sono i loro accompagnatori, che li aspettano alle basi vita e accolgono, ascoltano, preparano calze e magliette di ricambio, spalmano pomate e applicano cerotti, incoraggiano a continuare oppure a ritirarsi, a seconda delle condizioni dell’assistito. Nel caso di Oliviero, dietro c’è la discreta, silenziosa ma onnipresente Nadia. Che quest’anno, al traguardo, gli ha portato una torta con due candeline (nella foto di Stefano Jeantet). Nadia che non dorme, che si sposta da una base vita alla successiva, che versa qualche lacrima all’arrivo. Con lei l’amica (e compagna della società GS Orezzo) Pamela, che documenta anche le gesta di Oliviero su Facebook e con le foto di questo servizio. Una piccola squadra insomma, che fa in modo che Oliver abbia tutto quello di cui ha bisogno. A proposito, quali sono i tuoi “segreti alimentari”? Cosa mangiano i campioni?
 

A proposito, quali sono i tuoi “segreti alimentari”? Cosa mangiano i campioni?
I campioni non lo so! Io bevo latte, fino a mezzo litro, una o due volte al giorno. Non mi dà problemi perché mi piace molto e lo bevo abitualmente. Una bella tazzona di latte, miele e biscotti, per poi ripartire alla grande. E poi pasta, minestrone, tutto quello che trovo ai ristori e che mi va al momento. Per i tratti tra un ristoro e l’altro ho dei gel e qualche barretta, perché non puoi mai sapere quando avrai il calo energetico e in una gara del genere, soprattutto in alcuni punti, non ci si può permettere di rimanere senza forze. Quest’anno ho bevuto solamente un paio di birre: sono andate giù bene anche se il clima freddo non invogliava. Forse sarebbe andato meglio un vin brulè, ma non sarebbe stato il caso (ride ancora, ndr).


C’è qualcosa che hai desiderato fortemente ma che non potevi avere?
Mmm … niente in particolare. Anzi, c’è una cosa che mi capita spesso durante queste gare. Arrivi al ristoro o alla base vita, spesso in un rifugio bello, caratteristico, caldo, con tante persone che ti accolgono: avresti voglia di fermarti, chiacchierare, mangiare qualcosa insieme … Invece devi fare tutto di corsa e ripartire. Ecco, la cosa più difficile è lasciare tutto, uscire e ripartire.

Com’è il rapporto con gli altri concorrenti, i tuoi avversari in gara? Cosa fate quando vi raggiungete e vi sorpassate?
Mi stai chiedendo se tentiamo di ‘gambizzarci’ …? A volte si scambia qualche parola, altre volte no. Dipende da come siamo messi. Se ad esempio entrambi siamo “freschi” (si fa per dire) e abbiamo un buon passo, testa bassa e si tira dritto. Due anni fa attorno al duecentesimo chilometro mi è capitato di sorpassare un francese, in salita. Aveva il fiatone, si vedeva che era più stanco di me. Ha tentato di seguirmi per un breve tratto ma poi mi ha detto che io avevo le gambe più lunghe e un passo migliore. Allora abbiamo fatto un piccolo tratto insieme. Lo incoraggiavo, gli dicevo ‘dai, che è quasi finita’, anche se dentro di me sapevo che mancava ancora moltissimo … e anche lui lo sapeva.

Quindi Oliver, tiriamo le somme delle tue (sino ad oggi) quattro partecipazioni al Tor. E ti rifaccio la domanda iniziale: punti al tris?
Due primi, un secondo e un quarto posto, direi non male! Mah, non dico di no. Ma neppure di sì. Che sia un “ni” …?

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