Quattordici giorni di fumate nere, no anzi bianche, no in realtà grigie. Due settimane di rilanci, di sì abbozzati e poi ritrattati, di lavoro sui bonus, sulle diplomazie, su tutte quelle mille sfaccettature che solo un'operazione come quella che ha portato Benjamin Pavard all'Inter possono valere lo sforzo di pazienza e autocontrollo che il giocatore, il suo entourage e naturalmente l'accoppiata Marotta-Ausilio hanno dovuto avere dal 17 al 30 agosto 2023. Un acquisto pesante, a livello economico, e un acquisto pesante in campo così come nello spogliatoio. La storia tra Pavard e l'Inter parte da lontano, da gennaio 2023 quando il francese dice no ai nerazzurri pur lasciando aperta la porta per il futuro. E allora, in estate, ad Appiano Gentile col pensiero si va direttamente a giugno 2024, data di scadenza del difensore francese col Bayern Monaco. Prenderlo a zero tra un anno per pensare subito alla punta con cui rifare il reparto offensivo che ha visto la doppia partenza di Lukaku e Dzeko. Poi, però, le prospettive cambiano: "E se rafforzassimo ora la retroguardia, pensando a un altro tipo di intervento in attacco? Così evitiamo che da qui a giugno altri si interessino a Pavard e, magari, lo convincano a trasferirsi a parametro zero da loro". Questo, pressapoco, il pensiero della dirigenza interista, in costante contatto con Simone Inzaghi.
Alla fine Pavard, anzi "Benji l'interista", come si fa chiamare lui postando foto e video dall'aereo che lo sta portando a Milano diventa nerazzurro, ed è subito amore con la tifoseria. Perché il 27enne ha fatto di tutto per arrivare a Milano: la voglia di giocare centrale (Inzaghi gli prospetta di fare il braccetto destro), la voglia di raggiungere il compagno Marcus Thuram, la voglia di provare una nuova avventura è più forte di tutto, anche delle resistenze del Bayern, che comunque si intasca 30 milioni di euro più bonus per un giocatore in scadenza. Questo lungo prologo è necessario per capire cosa abbia significato l'acquisto di Pavard per l'Inter, prima ancora dell'impatto che ha avuto nello scacchiere interista.
Non ci ha messo tanto ad ambientarsi e a capire cosa vuole Inzaghi. Parte "cauto" nella linea con Acerbi e Bastoni ma pian piano si prende tutto, anche la fascia destra che non gli andava a genio con la maglia del Bayern (dove veniva impiegato esterno, appunto). È difensore di posizione, è difensore fisico. E poi è difensore tecnico, per impostare e proporsi scambiandosi con il compagno che gli sta davanti, che sia Darmian o Dumfries (senza dimenticare le pochissime presenze Cuadrado e Buchanan). Ma, nella necessità, ha fatto pure l'esterno destro, a dare una mano a crescere Bisseck quando il tedesco è stato impiegato come braccetto.
Testa alta, eleganza nel controllo del pallone, ottime doti di acrobazia ed elasticità muscolare che spesso lo portano a fare interventi difensivi spettacolari, alla fine nella sua stagione scoviamo pochissime sbavature, due su tutte. La prima, "imperdonabile" per quanto esuli dal discorso scudetto, è l'errore a Madrid, quando l'Atletico passa in vantaggio anche per un suo goffo intervento in area nel match che porterà poi all'eliminazione dalla Champions. La seconda è l'incredibile quota zero nella casella dei gol. Incredibile perché le presenze totali sono 20 in campionato (a parte qualche panchina per le rotazioni Champions, ha saltato 4 partite per la lussazione alla rotula sofferta a novembre e una per squalifica) e le occasioni ci sono state; incredibile perché sia col Bayern che con la Francia qualche gol lo ha sempre messo a segno; incredibile perché la qualità dei piedi e le propensioni offensive non sono rare, anche sui calci piazzati.
Nessun problema per Benji: la cosa più importante, lo scudetto della seconda stella, è arrivato ad arricchire una bacheca personale già strabordante di trofei vinti col Bayern. Ora la vita è tutta in nerazzurro e per il primo gol con la maglia dell'Inter ci sarà tempo, almeno fino al 2028.