E’ ancora possibile dire qualcosa di nuovo su Diego Armando Maradona? Evidentemente sì. Lo ha fatto un regista specializzato nel ricostruire le vite illustri di personaggi controversi come Ayrton Senna o Amy Winehouse. Asif Kapadia ci racconta il Pibe nel modo più diretto possibile. Un’impresa non semplicissima visto che il numero dieci più famoso della storia del calcio ha vissuto a una velocità superiore a quella della stragrande maggioranza di ogni essere umano. Immagini tratte dal suo archivio personale, con 500 ore di filmati inediti, scandite dalle sue parole, in interviste pubbliche, incontri privati e in centinaia di bagni di folla, e da quelle di chi lo ha frequentato (dalla ex moglie Claudia, al preparatore atletico Fernando Signorini, passando per giornalisti, ex compagni e dirigenti). Il risultato finale è un viaggio adrenalinico come quello che dà il via al documentario con la macchina di Diego che attraversa una Napoli impazzita il giorno della sua presentazione al San Paolo in quel pomeriggio del luglio del 1984.
E proprio dai filmati mai visti nel ventre di uno stadio esaurito solo per vederlo palleggiare, si capisce il senso di una storia. D’amore, soprattutto. Ma anche di perdizione, di esaltazione, di cadute e di rinascite. Perché anche dopo la peggiore delle sconfitte c’è sempre la possibilità di ritrovare il riscatto la domenica successiva. C’è tutto, niente è stato risparmiato. Gli scudetti, il figlio rinnegato e poi accolto dopo decenni, la droga, la camorra, una città che ti toglie il fiato da quanto ti adora. Diego come San Gennaro, come Masaniello, come un Re capace come nessuno di indossare una corona e poi di strapparsela dalla testa con rabbia.
L’asfissia di chi è cresciuto con un sogno immenso e che poi si ritrova stritolato da quello che aveva sognato. La cocaina come tentativo di fuga mal riuscito da una galera dorata. Il film ripercorre i 7 anni di Napoli con bellissime incursioni nei mondiali del 1986 e 1990. Immagini che si susseguono serrate a mostrare la differenza tra l’uomo Diego e il mito Maradona. Scene sparse che restano dentro come il suo primo piano perso nel vuoto durante la cena di Natale del Napoli nel dicembre 1990. A un passo dalla fine datata aprile 1991.
E poi c’è il pallone. Ti perdi e ti lasci cullare da quella sequenza infinita di tocchi, tacchi, tiri da centrocampo, numeri da circo ma sempre e solo per il bene della squadra. L’essenza vera di Maradona. “Quando sei in campo sparisce tutto, pensi solo a giocare”, dice due volte Diego nel documentario. Ecco, alla fine è tutto qui.