ALPINISMO

Simone Moro e la magnifica ossessione: "Torno al Manaslu, ho un conto aperto"

Sesto tentativo invernale sull'ottava vetta del pianeta per l'alpinista bergamasco negli ultimi mesi dell'anno  

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Manaslu un caso ancora aperto: parafrasando il titolo di un film diretto nel 1991 da Oliver Stone, è questa la missione 2024 di Simone Moro. Una sorta di... chiodo fisso (tanto per restare in ambito alpinistico) o piuttosto una magnifica non esattamente un'ossessione per il cinquantaseienne alpinista bergamasco. La nuova occasione di incontrarlo ci è stata recentemente offerta stato dall’inaugurazione del nuovo store DF Sport Specialist realizzato nell'ex Palazzo del Mobile di Lissone, nella Brianza monzese, della quale Simone è stato una delle guest stars, in virtù di un legame quasi quarantennale con il brand fondato (e poi rifondato) da Sergio Longoni, uno dei self-made men al tempo stesso più abili e umili dell'imprenditoria italiana e di quella legata agli sport outdoor in particolare. 

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Oltre che su questo rapporto e sul suo nuovo progetto invernale sugli 8163 metri dell'ottava meraviglia di roccia e (soprattutto) ghiaccio del pianeta, la nostra conversazione ha toccato un argomento a nostro avviso molto gettonato, atteso ma anche... spinoso di questi e dei prossimi mesi: la spedizione interamente femminile K2 70 che il Club Alpino Italiano ha varato per celebrare il settantesimo anniversario della successo della spedizione nazionale del 1954 sugli 8611 metri del secondo dei quattordici ottomila della Terra in ordine di altezza. Procediamo però con ordine, iniziando dal sesto tentativo di Simone sul Manaslu, nella scia di una carriera che ha visto il "nostro" salire in prima invernale (record assoluto) ben quattro ottomila: Shisha Pangma (2005), Makalu (2009), Gasherbrum II (2011) e Nanga Parbat (2016). In buona sostanza prima di... dedicarsi anima e corpo alla magnifica ossessione-Manaslu.

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SPORTMEDIASET: Simone, non si è parlato molto di te nei primi mesi di questo 2024 ma sappiamo che le montagne più alte del nostro pianeta saranno a breve e ancora una volta il tuo principale teatro d'operazioni... a tutto tondo, se così possiamo dire.

SM: La modalità silenzio non significa necessariamente assenza. Offre semplicemente la possibilità di concentrarsi di più sui propri progetti e questo, in un mondo nel quale sembra ormai che si debba anche annunciare al mondo di aver trovato il primo capello grigio, credo sia un bene! Per quanto riguarda la mia attività alpinistica sto pianificando la prossima spedizione invernale sul Manaslu, la sesta della serie. La partenza però stavolta avverrà nel tardo autunno. L’idea è di portarmi avanti con l’acclimatamento nelle ultime settimane autunnali per poi - con l’avvento dell’inverno vero e proprio - provare a realizzare sul Manaslu la prima salita invernale di un ottomila in stile alpino.

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I tempi sono maturi per tentare questo tipo di impresa. L’alpinismo si è evoluto: lo stile alpino, leggero, è quello più attuale. Non sarà facile ma non è impossibile. Nell’immediato invece mi aspetta il lavoro come elicotterista per le missioni di elisoccorso in Nepal (dove nel frattempo Simone si è già trasferito, ndr), poi la prossima estate mi preparerò sulle Alpi per il Manaslu, che per me è una sorta di conto aperto. Non è una cosa tra me e lui: lui è sempre stato là e sarà sempre là. L’ultima volta sembrava quella giusta, quella che avrebbe ripagato la lunga attesa. Purtroppo sono stato male proprio l’unico giorno nel quale non me lo potevo permettere. Ho incassato il colpo, fa parte della vita, ma la voglia di provarci non mi è passata. Magari era destino che dovessi fallire per poterci tornare e salirlo come piace a me: in stile alpino. Mettiamola così: se ce la farò quest’anno, vorrà dire che la rinuncia dell’ultima volta è stata produttiva.

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SPORTMEDIASET: Hai tentato a più riprese il Manaslu in inverno con Alex Txikon (che a fine 2022 ha raggiunto la vetta) e con altri alpinisti nepalesi molto poco conosciuti al di fuoRi del loro Paese. Chi ci sarà con te a fine 2024?

SM: Ad accompagnarmi sarà un alpinista nepalese mio amico. È già a buon punto con la collezione dei quattordici ottomila ma io gli ho detto che è ora di sganciarsi dalla… malattia di collezionare vette (un’attitudine professionale degli sherpa più che un’evoluzione dell’alpinismo), per provare invece a fare un alpinismo d’esplorazione. Sono pochissimi gli alpinisti nepalesi o sherpa che si dedicano a questo tipo di attività.

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D’altra parte per loro l’alpinismo è lavoro, accompagnare gli alpinisti occidentali per un somma di denaro. Voglio dare questa opportunità al mio collega, perché lo conosco bene e so che ha i numeri per diventare un alpinista completo. Pratica anche l'arrampicata sportiva. Insomma - detto con termine riduttivo - è molto più che un semplice sherpa. Diciamo che il nepalese che pratica l’alpinismo per passione praticamente non esiste. Oggi però le condizioni economiche del Nepal e degli altri Paesi della regione himalayana permettono ai locals di praticare l’alpinismo anche per passione e quindi di potersi focalizzare anche sullo stile, e non più solo sul guadagno immediato.

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SPORTMEDIASET: spostiamoci adesso "virtualmente" dal Nepal al Pakistan, dalla catena dell'Himalaya a quella del Karakorum. Non ci giriamo troppo intorno: che idea ti sei fatto della spedizione italopakistana interamente femminile al K2 ma, per esprimerti un nostro dubbio, ha senso secondo la tua esperienza pensare che questo tipo di "formato" restringa un po' gli orizzonti, invece di allargarli?

SM: Alcune delle alpiniste di K2 70 le conosco e posso dirti che di sicuro non avevano bisogno di essere inserite in una spedizione come ambasciatrici del movimento femminile, perché brillano già di luce propria, a pari livello con i loro colleghi maschi. Diciamo che si tratta di una sorta di… rivendicazione di una parità che ovviamente è già nei fatti. Posso capire che mettere l’accento sul carattere “cento per cento femminile” sia anche una mossa di marketing, funzionale al reperimento di risorse economiche per la spedizione e per conferirle una “targa” che - onestamente - per il novantanove per cento dell’ambiente dell’alpinismo (e mi viene da dire per il novanta per cento della società) è ormai superflua.

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Se lo scopo era comprovare il valore e la forza delle alpiniste… non era necessario mettere in piedi una spedizione interamente femminile. Tuttavia, siccome mi piace vedere sempre il bicchiere mezzo pieno, K2 70 offre alle sue componenti l’opportunità di fare una grande esperienza su una montagna molto “cara” in termini di permessi di scalata. Probabilmente in autonomia non se la sarebbero potuta permettere. Quindi, leggiamola come una chance di mostrare al mondo ciò di cui sono capaci.

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Però attenzione: non si tratta della prima spedizione tutta femminile sul K2. Quella l’hanno fatta nei primi anni Ottanta del secolo scorso le alpiniste polacche guidate dalla mitica Wanda Rutkiewicz. Insomma, se la missione è stabilire un primato… non ci siamo! Però sono contento per le nostre connazionali e - anche se potrà suonare strano! - per chi mettendosi a capo del progetto aveva bisogno di avere ancora una volta i riflettori puntati addosso… e poi per chi di solito rimane nell’anonimato. È giusto che abbiano anche loro un po’ di gloria: sul K2 c’è spazio per tutti!

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SPORTMEDIASET: La nostra conversazione avviene nel contesto dell'inaugurazione del nuovo megastore DF Sport Specialist, alla presenza di Sergio Longoni che ha fatto gli onori di casa e con il quale tu hai un rapporto privilegiato ma soprattutto iniziato agli albori della tua carriera. Ce ne puoi parlare?

SM: Sergio Longoni mi sostiene fin dal 1987: prima con Longoni Sport, poi con DF Sport Specialist. Stiamo parlando di quasi quarant’anni di sponsorizzazione, trentasette per la precisione! Il nostro rapporto è quello tra due amici ma mi sento di dire che una relazione umana di così lunga durata non può esimermi dall’affermare che mi sento parte della sua famiglia. La prima cosa che faccio quando ci vediamo è salutare sua moglie, le sue figlie e i suoi nipoti. Indossare abbigliamento Longoni fin da quando ero un perfetto sconosciuto mi fa venire in mente il valore della riconoscenza. Sergio ha creduto in me quando ero… uno sfigato qualunque e ora - sperando di non peccare di presunzione - mi viene da dire che ci aveva visto lungo perché il panorama - quando ho iniziato – era ricco… di tutto e di più, con tanti nomi noti e altisonanti. Il fatto che lui abbia creduto in me allora e che continui a farlo oggi significa che ho ripagato il suo intuito raffinato. Guardando indietro a quello che abbiamo fatto insieme, io oggi non mi sento un semplice ambassador del marchio, ma uno di famiglia!”

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Simone Moro è stato (in più di un'occasione) uno dei protagonisti della lunga serie di incontri del ciclo "A tu per tu con i grandi dello sport" che (a tutto aprile 2024) conta 288 serate dal 2005 ad oggi, la prima della quali - rimasta impressa nella memoria di tanti - ebbe per protagonista Walter Bonatti. Bergamasco di nascita come lo stesso Simone Moro, il grande alpinista scomparso alla metà di settembre del 2011 ha un posto di rilievo nella "galleria" di campioni (scoprirete tra poco perché si tratta del termine più azzeccato) di Sergio Longoni, che abbiamo ugualmente incontrato all'inaugurazione di Lissone.

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SPORTMEDIASET: Signor Longoni, ad iniziare da Simone Moro, qui oggi ci sono tanti sportivi (della montagna, ma non solo) che hanno fatto la storia degli sport d'avventura e tanti altri hanno portato in giro per il mondo prima il brand Longoni Sport e poi DF Sport Specialist, ma tra tutti me ne può nominare uno che porta nel cuore?

SL: Con Simone siamo legati da un rapporto di lunghissima durata. Oltre a lui, se devo nominare un alpinista significativo nella mia storia, beh… non saprei scegliere! Potrei citare Hans Kammerlander oppure Matteo Della Bordella. Se però devo proprio fare un nome, allora dico Walter Bonatti. Non siamo stati subito amici, lo siamo diventati. Non abbiamo mai arrampicato insieme ma la nostra amicizia mi ha gratificato molto. Walter era tutt'altro che una persona semplice, anche lui era fatto… a modo suo, ma con me è sempre stato socievole e amichevole. Ho un bellissimo ricordo di Bonatti, come degli altri alpinisti che ho nominato prima. Di ragazzi fantastici come loro ne ho conosciuti tanti. Sono sempre stato molto legato al mondo dell’alpinismo e ho sempre creduto in loro. Noi cerchiamo di sostenere il più possibile i loro progetti: viviamo di questo, bisogna riconoscerlo. Al piano più alto del nuovo store di Lissone vorrei realizzare un piccolo museo dedicato agli alpinisti: con tanti quadretti, per ringraziarli tutti quanti. 

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