INTERVISTA ESCLUSIVA

Tiro a volo, Giovanni Pellielo insegue la sua ottava Olimpiade: "Voglio continuare finché brucia la fiamma che ho dentro" 

 Il portacolori delle Fiamme Azzurre ha raccontato la sua esperienza a cinque cerchi dopo la conquista del pass non nominale nel trap 

di
@Getty Images

Giovanni Pellielo ha attraversato letteralmente la storia, vedendo il mondo cambiare nella sua oltre trentennale carriera nel tiro a volo. Il palmarès che parla di diciassette titoli mondiali, venti europei e quattro medaglie olimpiche non fanno onore a un atleta che ha visto il tiro a volo crescere e cambiare pelle sino ad arrivare al 2024 quando il portacolori delle Fiamme Azzurre potrebbe prendere parte alla sua ottava Olimpiade nel trap.

Tiro a volo, Pellielo si prende un altro argento

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Qualora arrivasse la convocazione del direttore tecnico, il fuoriclasse vercellese raggiungerebbe tre miti dello sport italiano come Josefa Idem, Piero e Raimondo D'Inzeo, consapevole di poter puntare sempre a quell'oro che manca nella sua bacheca, ma soprattutto sostenuto da una fede incrollabile e da una passione che lo potrebbe spingere in futuro a eguagliare il record di Ian Millar

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Parigi sarà la sua ottava Olimpiade in carriera. Cosa si aspetta dai Giochi a otto anni dall'ultima partecipazione?

La carta olimpica è dedicata alla Nazione, quindi, non è nominale e dipenderà dal direttore tecnico chi convocare. Se verrò designato, si tratterà dell’ottava Olimpiade e mi aspetterò di dare il massimo come in passato oltre a portare a casa qualcosa di interessante.

Quanto è cambiato rispetto al 1992 quando ha disputato la prima Olimpiade?

Sono cambiate molte cose, il mondo stesso così come i regolamenti. Abbiamo avanzato nel corso della storia con le gioie e le sofferenze che la vita ci riserva. Rispetto al 1992 sono orfano dei miei genitori e per questo combatterò con una presenza della realtà diversa rispetto a quella avvertita sino allo scorso anno.

Quanto deve a sua madre per i risultati che ha raggiunto?

È stata fondamentale perché se non avessi avuto una mamma che mi accompagnava al campo da tiro, non avrei mai sparato. Nel corso della storia è stata una presenza invisibile come sempre, che stava a guardare e rimaneva al mio fianco in silenzio senza mai intervenire sulle mie scelte. Mi ha sempre curato allo stesso modo indipendentemente che vincessi o meno e per questo è stata una presenza ideale.

Essendo il veterano di questa spedizione, sente la responsabilità di dover guidare i più giovani?

L’unica responsabilità che sento è nei confronti della mia coscienza. Se andrò alle Olimpiadi, è perché me lo sono meritato. Cercherò di dare tutto me stesso come ho sempre fatto, rispondendo ai miei doveri, della mia federazione, del mio tecnico e delle aziende che mi hanno sostenuto. Ovunque vada sanno che, indipendentemente che andasse bene o male, non avranno mai il dubbio che non mi sia impegnato a fondo.

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Con otto Olimpiadi ha raggiunto il record di due leggende dello sport italiano come i fratelli D’Inzeo e Josefa Idem. Le è mai capitato di prendere ispirazione da loro?

Ho sempre tratto ispirazione dagli atleti che mi hanno preceduto e fatto la storia. Io sono sempre rimasto affascinato dalla dimensione psicologica dell’atletismo. Nel momento in cui ho a che fare con persone che hanno attraversato la storia come me e sono rimaste sempre su in cima, sono affascinato. I tempi sono cambiati, banalmente alla mia prima Olimpiade era la nazionale che portava tre atleti a sua scelta, ora invece ci sono prove di qualificazione molto dure, motivo per cui partecipare è complicato. Il compito è quello di guardare di chi ci ha preceduto e dalla storia possiamo costruire il nostro futuro.

Tutta questa esperienza l’aiuta nel sapere quando il piattello esce e colpirlo senza perdere mai la concentrazione?

L’aver navigato nella storia e affrontare con grande consapevolezza le gare è fondamentale nella nostra disciplina visto che si decide tutto in decimi di secondo e in quelle fasi bisogna mettere l’esperienza di una vita. Certamente il mio sport è basato sull’esperienza e sulla conoscenza di sé. È vero che non si smette mai di conoscersi, però è anche vero che, rispetto ad altri sport dove c’è bisogno di maggior destrezza e forza fisica, conta più l’attenzione, i riflessi e soprattutto la maturità psicologica.

Qual è il vero elisir per rimanere sempre sulla cresta dell’onda nonostante gli anni passino?

Amando senza mai smettere di amare la propria passione. Non ho mai fatto della mia disciplina sportiva un lavoro, ma un amore. Non ho mai smesso di crederci, anche quando sembrava che non dovessi andare. Quando mi è stata l’occasione ho dimostrato di essere me stesso con la consapevolezza di me stesso che comunque si tratta di uno sport, di una delle cose belle della vita che possono succedere a molte persone. Si parla di momenti di gloria, un momento che è di gioia quando si va bene e di dolore quando va male, ma lo sport non è la vita, è uno dei suoi meravigliosi volti. La vita ci mette davanti altre cose rispetto al piacevole cammino all’interno di una disciplina.

Sappiamo che, oltre allo sport, ha portato avanti una serie di studi teologici. Quanto influisce la fede nell’aspetto sportivo?

La fede influenza tutti gli aspetti della vita. Aiuta tutte le sfaccettature, le esperienze e le strade che ognuno di noi percorrerà. Credere che la nostra esperienza non dipenda da noi e che si possa pensare di aggiungere un’ora sola alla nostra vita è impossibile. La nostra vita è sempre legata a qualcosa che va oltre credere a una presenza immanente rispetto a una presenza trascendente. Si crea dentro di noi dei grandi divari e penso che, affidarci alle meraviglie del creato, significa anche affidarci a un creatore. Ciò mi aiuta che capisco che tutto non dipenda da me. Spesso, per quanto cerchi di sforzarmi, non posso ottenere tutto. Se bastasse la volontà e l’impegno, vincerei ogni volta io, invece questo trascendente è tutto ciò a cui mi affido nel momento in cui devo fare qualcosa di molto più grande di me. Senza questo aspetto trascendente, avrei condotto la mia esistenza in maniera completamente diversa, magari anche non facendo sport.

Nino Salukvadze è pronta ad affrontare la sua decima Olimpiade in carriera diventando insieme a Ian Millar l’atleta più “longeva” dei Giochi. Pensa che un giorno potrà raggiungere quel traguardo?

Oggi più che mai non ho intenzione di smettere. Se mi convocheranno alle Olimpiadi, perché un atleta dovrebbe prendere parte ai Giochi nel 2024 e ritirarsi nel 2025? Siccome ho sempre creduto che esistono due tipi di atleti, quelli che hanno bisogno di soddisfare un bisogno come vincere una medaglia e altri, nei quali mi riconosco, che vado avanti attraverso un fuoco interiore che si chiama passione. Più lo praticano e più cresce e finchè durerà questo amore, voglio andar avanti. Se avrò la fortuna di stare bene, avere la vista, i riflessi e la dedizione per gli allenamenti, allora continuerò.

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