Francesco Farioli sarà il primo italiano ad allenare l'Ajax, nonché il primo tecnico straniero dei Lancieri dopo 27 anni. Una nuova avventura in club storico per il classe 1985, allievo di De Zerbi, che si appresta a vivere la nuova esperienza carico di responsabilità e stimoli. "È questione di giorni e saremo in campo; ora bisogna ricaricare le pile ed essere pronti a partire per questa avventura nuova e stimolante. Ci sarà bisogno di arrivare con carica ed energia- ha detto a Radio Serie A sulle frequenze di Rds-. L’Ajax è storia, tradizione, idea di calcio e un modello. È una delle poche squadre con un’identità così marcata, ha un calcio che mi ha portato a voler iniziare questa avventura. È un calcio che nasce da Cruijff, questo è alla base di tutto".
"Siamo in un momento storico dove la tradizione e la storia sono fondamentali, non devono essere un peso, ma uno stimolo e una responsabilità. Ci deve dare l’esempio di quello che è stato il passato e ci deve lasciare molto concentrati sul presente, sempre con un occhio sul futuro. Bisogna tornare a correre e a farlo con forza e con vigore perché ci attendono dietro l’angolo diverse sfide. Il 25 luglio avremo il preliminare di Europa League, poi l’inizio del campionato il 10/11 Agosto. Quando si inizia una nuova avventura ci sono talmente tante cose da fare che non ci sarà neanche tempo di accorgerci che saremo già alla prima partita ufficiale con la voglia e il desiderio di tornare a correre e pedalare nella direzione giusta”.
Un compito, quello per l'allenatore ex Nizza, che si intreccia anche con lo stimolo di essere il primo italiano alla guida dell'Ajax: "È sicuramente una responsabilità e un valore in più che si aggiunge. Chiaramente la storia dell’Olanda come nazione calcistica e soprattutto in casa Ajax è qualcosa di chiaro ed evidente. Abbiamo citato Cruijff, ma non possiamo non citare Van Gaal che è stato un altrettanto importante riferimento del passato e del presente dell’Ajax; è un’altra delle figure iconiche che spero di potere incontrare presto perché è uno di quei mentori da cui si può imparare tanto e respirare quello che è davvero questa squadra. Confido nei primi giorni di poter avere una bella chiacchierata con il mister e di capire quali sono gli step da fare. Il fatto di essere il primo italiano e uno dei pochi stranieri a poter allenare una squadra così importante, è per me una responsabilità in più che mi porta a entrare in punta di piedi con grande umiltà e rispetto per quello che l’Ajax è stato. Dall’altra parte la voglia e l’ambizione di cercare di portare un piccolo contributo, freschezza e idee e di continuare a correre rispetto a quella che è l’evoluzione continua del calcio. Sfrutteremo i mille stimoli che riceviamo dalle competizioni che andiamo ad affrontare. Rimanere legati al dna della cultura e della storia con un occhio al futuro”.
“Sarò felice tra un anno se? Se saremo qui a parlare con lo stesso entusiasmo. Sono tante le emozioni, le aspettative e le ambizioni. Come ho detto prima, tutti i traguardi che ci mettiamo davanti saranno raggiungibili se saremo in grado di costruire un gruppo di lavoro coeso e che abbia voglia di rimboccarsi le maniche, avendo voglia di sudare per una maglia prestigiosa: credo che indossare una maglia così possa essere qualcosa di eccezionale per qualsiasi calciatore. Dalla creazione di questo gruppo andranno aggiunte idee, proposte, la volontà di allenarsi bene e tanto, provando a lavorare più e meglio degli altri. I conti si fanno alla fine, pensare oggi di guardare troppo lontano è complicato. Il mio target oggi è il 18 di giugno, andando avanti passo dopo passo. Alla fine, per quello che è la mia esperienza, quando ho guardato troppo lontano ho fatto fatica. Guardando passo dopo passo ho avuto i momenti migliori, con grandi soddisfazioni che mi hanno permesso di andare avanti nel mio percorso. Spero di avere ancora l'umiltà per rimanere nel giorno per giorno, che è la cosa più importante e che spero di trasmettere al nuovo gruppo di calciatori che incontreremo”.
“Penso di essere stato uno dei primi che ha vissuto questo cambio generazionale e forse ho contribuito a questa apertura e opportunità. Ricordo bene le mie primissime esperienze, posso assicurarti che trovare uno spiraglio non era facile. La mia prima esperienza è arrivata a 31 anni ed è stato molto complicato trovare una società che avesse voglia di affidarsi a un giovane. Adesso questo muro è stato abbattuto e ci sono molti altri colleghi in vari campionati che hanno avuto la forza e la bravura di ottenere l’opportunità e poi la capacità sul campo di fare risultati e di rimanere, mantenendo le aspettative. Come non lo ero prima, non sono neanche adesso un fan della carta di identità come presentazione a prescindere. Credo sia importante che un allenatore giovane venga riconosciuto per le sue capacità, ma questo non vuol dire che un allenatore con più esperienza non sia più all’altezza, anzi c’è sempre tanto da imparare. Credo che quello che debba fare la differenza siano sempre le idee e i valori che vengono messi in campo. Questi penso debbano essere i valori che portano una società a scegliere di affidare la panchina a un allenatore”.
“Relazionarsi con ambienti e culture diverse ti spinge ad avere un'apertura mentale che viceversa non potresti avere. Le rose di oggi ti portano ad avere in squadra tante culture e bandiere diverse e quindi l’importanza di sapersi modulare, rispetto ai contesti nei quali ci si trova a lavorare, credo che sia uno degli elementi cardine di un allenatore. Anche quando si va all’estero è importante portare le proprie idee ma allo stesso tempo anche accettare quelle che sono le culture e le tradizioni del posto e quindi sulla base di questo trovare compromessi e basi di incontro. Pretendere di cambiare tutto in pochissimo tempo è impossibile e forse non è neppure giusto, come non è giusto lasciar scorrere tutto. L'importanza di trovare un giusto mezzo e un giusto equilibrio tra quello che si vuole portare come innovazione e quelle che sono le tradizioni che si vogliono mantenere, è fondamentale. Alla fine è l'influenza delle diverse culture che caratterizza i campionati, a portarti ad avere diversi challenge rispetto a quelle che sono le proposte. Nel nostro gruppo di lavoro ci sono collaboratori italiani, spagnoli, inglesi, finlandesi e turchi. Questo è il gruppo che mi ha seguito dall'inizio del mio percorso e fa capire quella che è la mia propensione: avere in gruppo diverse culture, diverse idee, diversi stimoli e modi di pensare. Credo che da queste differenze nascano le opportunità di confronto e la ricchezza. Nascono confronti e scontri, ma nel lungo periodo credo che sia sempre una risorsa e una grande opportunità”.
“È stata un'opportunità enorme. Sono sempre molto grato alle squadre che mi hanno dato l’opportunità di costruire il mio percorso e di vivere questa avventura. A partire dal Fatih Karagumruk per poi tornare al Alanyaspor e poi chiaramente allenare in un club che rientra nei top 5 campionati europei con la chiamata di Florent Ghisolfi. Ho cercato di farmi trovare pronto arrivando con un'idea di squadra, di quelli che erano i valori individuali dei giocatori e con una conoscenza discreta rispetto alle difficoltà e possibili problematiche del campionato. Penso sia fondamentale capire questo: informarsi, studiare, guardare le partite, chiedere e confrontarsi con i giocatori delle squadre che si andranno ad affrontare, costruirsi la propria idea e capire le necessità primarie. Nella prima settimana abbiamo fatto cinque colloqui che sono stati più degli interrogatori, molto precisi e mirati con molte domande che spaziavano dalla conoscenza della squadra alla conoscenza del campionato, alla mia idea di gioco e alla proposta che avrei voluto proporre con il mio gruppo di lavoro; e ancora sulla costruzione dello staff e poi tutto quello che è inerente alla parte gestionale, il rapportarsi in merito a determinate situazioni, le linee guida da seguire e il rapporto con i calciatori. Da lì a poco siamo partiti in questa cavalcata ricca di tanti momenti belli, un inizio di stagione un po’ complicato con tre pareggi e poi abbiamo avuto una serie incredibile di risultati. Abbiamo fatto diverse partite senza sconfitte con la soddisfazione di vincere in trasferta in due campi molto prestigiosi. Questo ci ha permesso di rimanere agganciati alla parte alta del campionato per un lungo periodo. L'obiettivo per noi era di rimanere il più in alto possibile accumulando più punti disponibili sapendo che tra gennaio e febbraio avremmo avuto molte difficoltà con diversi giocatori impegnati in coppa d’Africa. Per una rosa come la nostra, perdere 6 o 7 giocatori dello stesso ruolo è stata una problematica importante da affrontare. È arrivato il momento di flessione in quel periodo, ma poi fortunatamente ci siamo ripresi e abbiamo concluso raggiungendo l'obiettivo in campo e nella valorizzazione di giovani affermandosi in un campionato così importante".
“Con Ghisolfi ho un ottimo rapporto, è stata la persona che mi ha dato l’opportunità di tornare in un campionato così importante in Europa. C’è tantissima gratitudine, credo che lui abbia delle grandi qualità con un metodo di lavoro molto preciso e chiaro, sa bene quale è la direzione che vuol prendere. Questo è fondamentale perché quando si ha un metodo di lavoro e si ha una struttura mentale che ti porta a organizzare la squadra in un certo modo, credo che sia la cosa più importante perché non sono mai decisioni campate in aria o prese per quello che è la sensazione del momento ma un’analisi molto più profonda e dettagliata. Credo che sia un direttore di grande valore e spessore, Roma è una piazza di altissimo livello, sono sicuro che si farà valere come ha fatto nelle due esperienze in Francia. Credo che la sua opportunità se la sia guadagnata con tanto lavoro, dedizione e idee chiare. Ha davanti un orizzonte di ambizioni che ha sempre portato avanti con grande umanità e valori”.
“Responsabilità sicuramente, credo che sia la matrice di tutte le scelte che ho fatto progressivamente. Dall’essere portiere prima, che è il ruolo della responsabilità per eccellenza, e nell’allenare poi, perché si è incaricati di far crescere delle persone: le responsabilità diventano a 360 gradi rispetto ai tuoi collaboratori, rispetto ai tuoi giocatori, rispetto alla tua società e alla comunicazione esterna. È un ruolo che richiede una responsabilità a ogni livello e da ogni angolo in prospettiva. Questo è quello che andiamo a chiedere ai nostri giocatori nel modo di giocare. È un gioco che è sul limite, un po' di tutto. Cerchiamo di accompagnare i giocatori verso quel limite, la sfida è verso loro stessi, cerchiamo di avvicinarli verso la loro migliore versione possibile. Questo richiede lavoro, sacrificio e responsabilità individuale. L’importanza di accettare una serie di regole e togliersi un pezzo del proprio ego per metterlo al servizio della squadra è uno dei passaggi fondamentali per far sì che tutta la macchina organizzativa possa andare nella direzione giusta. Questa è la sintesi di quello che cerchiamo di proporre. L’idea principale è quella di non vedere più il calcio come qualcosa di spezzettato in fase di gioco, anche se poi ovviamente si spezzetta per cercare di semplificare e ridurre, ma la verità è che quello che conta è il continuo della partita, essere nel flow e seguire il flusso della gara. Questo implica un’alternanza continua tra possesso e non possesso, le famose fasi di transizione che, più il calcio va avanti, più diventano immediate e determinanti per la dinamica della gara. Quindi, come diceva Spalletti, l’importanza di reagire nel momento in cui si perde la palla avendo un'aggressione della palla forte lo si fa meglio quando si hanno tanti giocatori attorno al pallone. Questo succede se la palla viene mossa da tanti giocatori, in un calcio più verticale è difficile avere una aggressione forte, se si riescono ad accumulare tanti passaggi è più facile avere la possibilità di riprendere il pallone subito. Di giorno in giorno si cerca di ritagliare frazioni di secondo a questi step mentali per essere più efficienti e produttivi, e per avere vantaggi in termini di prestazione e risultati”.