Il passaggio al coperto nella breve galleria-camminamento della Linea Cadorna all’altezza di Passo Dordona è solo l’ultimo degli snodi-chiave del Trail del Centenario Lovato ma per certo il più suggestivo ed emblematico in termini di memoria. Porta a riflettere sul tutt'altro che banale rapporto tra la nostra frequentazione sportiva e spensierata della montagna e alla montagna stessa come teatro di operazioni belliche (anche solo progettate) risalenti ad ormai più di un secolo fa. Uno sforzo spontaneo di memoria (e riconoscenza) dal quale mi risucchia di nuovo in un presente sudato e dalle prospettive tempestose la vigorosa strattonata per un braccio del volontario che - con le migliori intenzioni del mondo - letteralmente mi estrae sul bordo della trincea appena metto la testa fuori dal breve tunnel (reale) nel quale mi ero (idealmente) infilato più o meno tre ore prima. Per la precisione al segnale di partenza della prova-clou (valida come prima prova di Skyrunner Italy Series) del Trail del Centenario che - per il terzo anno di fila! - celebra il primo secolo di vita di Lovato Electric SpA: caduto appunto nel 2022 e festeggiato a un evento one-off nel piano iniziale ma poi riconfermato l’anno scorso e in questo 2024 ulteriormente consolidato dall’azienda di Gorle, all’imbocco della Val Seriana, principale teatro d’operazioni del partner Fly-Up Sport, organizzatore dell’evento. Lunga vita al Centenario, quindi!
Prima di addentrarmi nel racconto di una giornata memorabile, tengo in modo particolare a dedicarlo ad un ragazzo di venticinque anni del Gambia di nome Amadou Sanneh, vittima martedì 11 giugno di un incidente sul lavoro in una azienda chimica della zona industriale tra Brugherio e Agrate Brianza, dove mi alleno abitualmente, magari anche a suon di ripetute up and down sul cavalcavia della Milano-Venezia (fai di necessità virtù, se le montagne vere sono distanti).
Non lo conoscevo personalmente, Amadou, ma sono certo di averlo incrociato più volte sulla pista ciclabile "scandita" ogni cento metri dalle pennellate di vernice gialla che misurano gli scatti. A fine giornata, io appena uscito a correre dopo il turno in redazione, lui in bici o magari monopattino, a sua volta alla fine della sua giornata di lavoro. Di sicuro molto più pesante della mia, molto meno agevole, lontano da sua moglie e da suo figlio (e un secondo in arrivo). Ci siamo di sicuro sfiorati e lasciati spazio per correre e pedalare, sulla ciclabile spezzettata da quei segni regolari che per lui non significavano nulla. Ti lascio un pensiero e una dedica, ragazzo sfortunato.
La partenza dal coloratissimo (ma in rigoroso e vistoso monocolore orange Lovato) corral della gara è di quelle che non si dimenticano. Infatti me la ricordavo benissimo dalla mia prima partecipazione a questa prova che fa campo base a Foppolo e più precisamente dalla terrazza a sbalzo sul Piazzale Alberghi della stazione di sport invernali dell’alta Val Brembana, il più occidentale dei due solchi principali (l’altro è quello della già citata Val Seriana) che dalla pianura serpeggiano fin sotto allo spartiacque tra la provincia di Bergamo (dove ci troviamo) e quella di Sondrio: la Valtellina, insomma, o meglio le selvagge valli del versante orobico valtellinese che - disposte a pettine - collegano le creste prealpine al fondovalle percorso dal fiume Adda.
Il via (per questo me lo ricordavo bene, soprattutto le mie gambe) è in modalità… start-up. Trenta metri in piano nel… campo d’atterraggio della pista da sci Quarta Baita (le altre tre non so dove fossero ma le mie gambe - ancora loro - se le ricordano bene) e il mondo già si impenna lungo lo schuss della pista stessa, percorso in senso contrario al motivo per il quale è stato modellato.
Il gruppone dei seicento (mass start, ci sono anche gli iscritti alla 30K e alla 14K) si allunga ripidamente e rapidamente (non sono mica l’unico che sbuffa, eh?) puntando dritti verso il Rifugio Montebello/Terrazza Salomon. Per fortuna il “modus correndi” dritto-per dritto si smorza presto e - distogliendo lo sguardo dalla meta - giriamo a sinistra per poi tornare a destra e avvicinarci al Rifugio risalendo il fianco della montagna.
Un intaglio roccioso percorso da un ruscello dai modi "impetuosi" (non mi faccio scappare un paio di sorsate belle fresche) ci costringe a fare un paio di minuti di “coda” (sia chiaro, nessuno se ne lamenta, anche se non tutti lo ammettono e fingono impazienza) prima di proseguire verso l’alto, doppiare “da sotto” il rifugio - che ci aspetta più avanti, alla chiusura del primo anello - e abbassarci di poche decine di metri sulla sella del Passo della Croce, che collega i due anfiteatri del comprensorio sciistico di Foppolo (ovest) e Carona (est, sul ramo più orientale della Val Brembana).
L’anello di cui sopra inizia qui ed è la prima novità… imposta allo staff organizzatore (il Centenario è il terzo dei nove appuntamenti del calendario Fly-Up Sport) dalle condizioni meteo un po’ folli di questa strana primavera, che ad alta quota è "sepolta" dai metri e metri di neve che a gennaio si erano astenuti dal depositarsi a terra. Picchiata (per chi può) a ritmi... folli come la primavera di cui sopra che per quanto mi riguarda porta a ripercorrere la strada bianca tra i prati verdissimi che la sera prima avevo risalito in ricognizione dopo il mio arrivo a Foppolo e prima della cena al ristorante K2 insieme all’amico Mario Poletti (frontman Fly-Up), all’Amministratore Delegato di Lovato Electric SpA Massimo Cacciavillani (lui pure appassionato runner), allo speaker ufficiale Tony Tranquillo e ad un’altra quindicina di amici vecchi e nuovi.
Raggiunto… il K2 (nel senso del ristorante!) e smarcato buttando giù bevande a caso il suo ricco ristoro, ci inoltriamo nel bosco per circumnavigare alla sua base - su mulattiera e pista da sci nordico - la cresta montuosa che “contiene” verso est la conca di Foppolo. Poi tocca affrontare il secondo tratto verticale che - addolcito in alto da qualche zigzag intorno alle reti paravalanghe - conduce sulla cresta, per rimettere la barra verso nord (dopo aver pestato un residuo di nevaio) sulla costa erbosa e ventosa in direzione della cima del Monte Valgussera. Prossimo “movimento” della partitura una discesona lungo la pista Capelletta che ci permette di attraversare, mettendo una seconda croce sul… Passo della Croce, sorvolati dall’elicottero giallo di Simone Moro, in servizio di collegamento e di appoggio alle riprese tv che volteggia in lontananza.
Okay, ora Montebello e poi Passo Dordona? Macché, neanche per idea! I volontari indicano a destra, dalla direzione opposta a quella sperata o perlomeno che io avevo in mente, per aver studiato a tavolino luoghi che conosco poco, nonostante sia alla mia seconda partecipazione. Anche se il tracciato 2023 non passava da qui, in effetti. Comunque sia, mi sa che ho fatto male i compiti a casa! La nuova rotta mi taglia un po’ le gambe e il fiato, restituendomi la certezza di una missione più ardua di quella alla quale mi ero “preparato”. Divalliamo con qualche episodio fangoso e paludoso nella selvaggia e spoglia Val Carisole (siamo ben oltre il limite superiore della vegetazione d’alta quota), in direzione del Rifugio Terrerosse e della stazione di monte della seggiovia, alla base delle piste di Carona. Per quanto mi riguarda non senza un goffo inciampo da “ho fatto splash”. Volo nel morbido insomma, inzaccherandomi dalle ginocchia in giù, tipo "mud race". Poco male ma poi, con pretesti vari (del tipo: quando secca… tira) mi fermo alla prima ansa del torrente per ripulirmi. La realtà è che sono un po’ snob e mi piace essere vagamente in ordine anche in queste circostanze.
Torniamo a salire? Oh yes! Il Rifugio Mirtillo è lassù, quasi a monte della pista che risaliamo inesorabilmente su fondo sassoso. Lo raggiungo e al tavolo faccio il pieno di acqua fresca ma quella dei torrentelli è sempre più buona (e più fresca, che ve lo dico a fare) di quella dal retrogusto “plasticoso” di bottigliette e flask, per quanto progettati apposta per ovviare all’inconveniente. Impiego una quarantina di minuti sulla tratta M&M per collegare Mirtillo e (finalmente) Montebello, quest’ultimo due volte sfiorato nelle due ore precedenti. Siamo infatti ormai a due ore e mezza di gara e i primi della “mia” 23K da 1500 metri D+ sono già serenamente al traguardo. A restituirmi qualche energie in più sono il ritorno nell’anfiteatro di montagne “giusto” (quello di Foppolo) e l’eco della voce di Tony Tranquillo laggiù al campo base circoscritto dalle strutture simil-brutaliste della località alto-orobica. Non è un offesa, il brutalismo è una importante e discussa corrente architettonica del secolo scorso.
Da qui in avanti la conosco già, insomma, ma farò bene a rimanere attento e concentrato. Dispiace un po’ non prenderla larga verso destra e puntare verso il Lago Moro e il Passo di Val Cervia. Dispiace non potersi preparare alla discesa dal Passo Dordona nella valtellinese Valmadre fino al Rifugio Dordona e poi all’intaglio della Bocchetta dei Lupi per trasferirsi (restando sul versante nord) in Val Tartano, prima di fare ritorno (attraverso l’omonimo Passo) in provincia di Bergamo e rientrare (anche lungo un morbido sentieri nel bosco) a Foppolo, lasciando sulla destra la skiarea di San Simone. Dispiace eccome ma quest’anno le condizioni hanno messo paletti ben precisi (e sepolti dalla neve) alle nostre intenzioni e a quelle degli organizzatori. Agli organizzatori il merito di aver rimediato con un primo anello alternativo ma soprattutto impegnativo. A noi quello di esserci adattati, di non aver voltato le spalle a questo appuntamento.
Anche se privo di dislivelli significativi (è un lungo traverso a mezza costa su sentiero single track), quello che dalla “rampa di lancio” della Terrazza Salomon porta al Passo Dordona è un tratto piuttosto “sky”, nel senso che non ci si possono concedere distrazioni anche se io - appena lo avvisto acquattato ai bordi del sentiero - saluto l’amico fotografo Cristian Riva (con lui e con il suo socio Diego De Giorgi mi ero intrattenuto prima del via) e mi atteggio un po’ per lo scatto, sforzandomi di distendere i tratti del volto in un sorriso che rimane comunque un po’ tirato. Poco sotto il valico il sentiero si allarga per poche centinaia di metri in strada bianca (quella che collega Val Brembana e Valmadre), perché al passaggio sul valico svoltiamo per imboccare la storica trincea e il camminamento indoor di cui all’inizio. Per breve che sia - come anticipato - sono certo non avrà lasciato indifferente nessuno di noi.
Da qui in avanti è tutta discesa. Occorre mollare i freni ma non è il caso di pregustare il traguardo o il pasta party. Al contrario, vista laser concentrata sul terreno nei cinque-sei metri davanti ai propri piedi e concentrazione totale, anche perché i tratti “sky” in discesa sono da antenne dritte, reattività massima e prontezza di riflessi per “richiamare” prima che l’angolo della eventuale scavigliata diventi irrecuperabile, con le immaginabili conseguenze. Quelle che chi corre conosce bene e teme come e più della peste bubbonica di manzoniana memoria, come dicono quelli che hanno studiato (me compreso).
Ci abbassiamo rapidamente dalla prateria d’alta quota alla foresta e poi al bosco, fino raggiungere le prime case di Foppolo. Preannunciata qualche ora addietro dal briefing pre-partenza di Poletti, ecco un’ultima breve rampa che aggira verso l’alto un cantiere e - sbucando da una pineta - ci porta a raggiungere il traguardo “lanciati” da un secondo passaggio (questo volta verso il basso!) lungo lo schuss finale della pista Quarta Baita.
È fatta, mi mettono al collo la medaglia finisher e ricevo una calorosa stretta di mano e un complimento da parte di Pietro Cacciavillani (presidente di Lovato Electric) che mi fanno piacere e mi colpiscono particolarmente perché in fondo sono solo il 146esimo della classifica generale e dietro di me ne sono rimasti sì e no un centinaio. Significa che il signor Pietro (signore di nome e di fatto) ha riservato a tutti la stessa bellissima accoglienza. Vincitori e vinti, professionisti e amatori, gente che non lascia nulla al caso e scappati di casa!
Raggiungo Tony in postazione-radio per due battute al microfono (lui: "Come la definiresti questa gara? Io: "Inaspettata!"), poi corro a darmi una prima sommaria “strofinata” rinvigorente e a mettermi addosso qualcosa di piacevolmente asciutto. Mi aspettano un rapido rientro a casa e poi un turno seral-notturno in redazione per le prove ufficiali del Gran Premio del Canada di Formula Uno. Grazie, oh fuso orario che mi permetti di correre al mattino e poi di lavorare alla sera! Sembra un gran faticata ma poi anche no: la gara è passione e piacere, il lavoro in questo caso è stare seduto davanti al pc a scrivere mentre guardo alla tv le macchine girare in pista. C’è decisamente di peggio!
Prima di abbandonare il campo mi concedo un veloce pranzo a base di pasta, costine, polenta e torta in compagnia della collega e amica Gloria che come al solito mi ha rifilato una mezz’ora. Fuori si scatena la bufera e ad un certo punto mi piove pure nel piatto dalle cuciture del tendone, ma cosa vuoi che sia. Il pensiero va piuttosto ai concorrenti della mia stessa prova e a maggior ragione a quelli della gara lunga da trenta chilometri che sono ancora da qualche parte là fuori e là sopra sui sentieri, in piena burrasca. Il finimondo dura poco ma rende la loro missione ancora più tosta e meritevole di uno... scrosciante (per rimanere in tema) applauso da parte mia, facendo un piccola deviazione nei pressi della linea del traguardo prima di abbandonare il campo, pensando già alla quarta edizione del Trail del Centenario Lovato.