Ibrahimovic: "Non sono una babysitter, i miei giocatori devono assumersi le responsabilità"
Il rossonero si racconta in una lunga intervista, le parole sul figlio Maximilian al Milan Futuro: "Lo giudico come giocatore come giudico tutti gli altri. Deve imparare, deve lavorare e deve guadagnare"
“Debolezze? No, perché se sono obiettivo vado fino in fondo e poi o riesci o fallisci. È una probabilità al 50 per cento? No, nel mio caso è 99 su 1. Faccio di tutto per avere successo. È tutto mentale, so quanto sono bravo. Anzi, ancora più in alto: 99,9%”. Passano gli anni ma Ibra è sempre Ibra, deciso, sicuro con quel fare da "bad boy" che lo contraddistingue da sempre. Zlatan Ibrahimovic direttamente dagli Stati Uniti, dove la squadra rossonera ha alloggiato in questi 15 giorni per la tournée, in un'intervista rilasciata a The Athletic ha parlato del passato, del futuro e soprattutto del presente. Dalle ambizioni del suo del Milan alle sue, parlando del ruolo che ricopre nella società, con la constante vicinanza alla squadra. I giocatori però non si devono abituare troppo alla sua presenza, tanto che lo svedese ha voluto metterli subito in guardia: "Non sono una babysitter. I miei giocatori sono adulti e devono assumersi le responsabilità. Devono dare il 200% anche quando non ci sono. Ho voce in capitolo in molte categorie per portare risultati e aumentare il valore, il tutto con l'ambizione di vincere", ha ribadito.
IL FUTURO DI ZLATAN: IL NO AD ALLENARE E LA CARRIERA DEL FIGLIO
Una cosa è certa, Zlatan ha sempre avuto le idee chiare e anche in questo non è cambiato, nonostante l'inizio della nuova carriera fuori dal campo da calcio. Potrà non sapere cosa gli riserverà il futuro, anche se definendosi "un Dio" più di una volta in tante interviste potrebbe avere giusto qualche idea a riguardo, ma sicuramente sà cosa non diventerà: "Allenatore? No. Vedi i miei capelli grigi? Figuriamoci dopo una settimana da allenatore. La vita di un allenatore dura fino a 12 ore al giorno, non hai assolutamente tempo libero. Il mio ruolo è connettere tutto, essere un leader dall’alto e assicurarsi che la struttura e l’organizzazione funzionino. Per tenere tutti sull'attenti”, ha spiegato il rossonero. Ha poi parlato del futuro calcistico di uno dei suoi figli, Maximilian, che sta cercando di seguire le sue orme. Il ragazzo, classe 2006, ha da poco firmato il suo primo contratto da professionista con il club rossonero e nella prossima stagione giocherà con il Milan Futuro, seconda squadra che disputerà il campionato di Serie C. "Non è facile per lui perché, ovviamente, suo padre è quello che è - ha detto Zlatan - porta un cognome pesante. Ovunque vada, sarà sempre paragonato. Ma al Milan, nel mio ruolo, non lo vedo diverso dagli altri. Non lo giudico come se fosse mio figlio, lo giudico come giocatore, come giudico tutti gli altri. Deve imparare, deve lavorare e deve guadagnare. Poi quello che succede, succede. È forte mentalmente. La gente pensa che il calcio sia facile e che tutti arrivino, ma non è così”, ha detto.
RICORDI DEL PASSATO: DA CAPELLO AL RITORNO AL MILAN
"Chi mi ha fornito leadership? Alla Juventus avevo Fabio Capello. Mi ha distrutto, ma allo stesso tempo mi ha costruito", ricordi del passato e del momento in cui Ibra racconta di essere cambiato, e di aver fatto quel salto di mentalità che l'ha reso quello che è oggi. I metodi dell'ex allenatore, sicuramente, non sono stati "morbidi" ma sono serviti. "Come? Facile. Oggi sei stato uno schifo, domani sarai il migliore. Quindi, quando pensi di essere il migliore, ti distrugge. Poi diventa confusione e non sai: 'Ca**o, sono davvero il migliore o sono una m***a?' Quindi, quando eri giù, lui ti stava ricostruendo". Parole di stima anche verso lo Special One, che ha lasciato il segno su di lui sia come calciatore che come uomo. "Mourinho? José era una macchina. Lui tira fuori il meglio da te. Lui è quella persona: manipolatore. Sa come entrarti nella testa. Lui sa come trattarti, indipendentemente dal tuo livello. Mi ha ricordato Capello, ma una versione più recente. Disciplina. Duro. Intenso. Non i tipi morbidi. Questo è quello che mi piace. Ricordi da dove vengo? La mia famiglia è dura". Esperienze che l'hanno cambiato nel corso della carriera e hanno fortificato non solo il corpo ma soprattutto la mente del giocatore: “Quando sono venuto la seconda volta, si trattava più di dare che di prendere. Volevo aprire la strada a una nuova generazione. Tu sei l’esempio, dicendo: 'Ascolta, è così che funziona'. Quando sei a Milano è l’élite dell’élite: pressioni, pretese, obblighi. Bisogna assumersi la responsabilità, diventare uomo, perché un giocatore non conta solo il campo, ma anche la persona fuori. Ero il punto di riferimento, non avevo un ego al riguardo. Ero come una specie di...angelo custode”.