ALPINISMO

Della Bordella: "Abbiamo temuto di non farcela. Condizioni-limite e... patagoniche"

Il forte alpinista esploratore varesino racconto l'avventura da poco conclusa in Groenlandia con i suoi compagni di viaggio

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© Archivio Fotografico Matteo Della Bordella

La Groenlandia come la Patagonia: si riassume così in estrema sintesi (estrema nel verso senso della parola) il senso della più recente avventura di Matteo Della Bordella. Insieme ai suoi tre compagni di viaggio (Symon Welfringer, Silvan Schüpbach e Alex Gammeter), l'ex presidente dei Ragni di Lecco ha vissuto e superato un viaggio che ha portato il piccolo gruppo a sfiorare il limite appunto estremo: quello della pura sopravvivenza. Non solo per quanto riguarda l'aspetto alpinistico, con l'apertura di Odissea Borealis, il nome dato via aperta lungo la remota parete che era la loro meta), quanto per gli aspetti di viaggio e di logistica che ha messo duramente alla prova MDB e soci fino al rientro verso il villaggio di Tasiilaq che era stato - un mese prima - la rampa di lancio del trasferimento in kayak verso la parete da scalare. Ghiaccio e orsi polari, fame e scariche di sassi, vento e tempeste: c'è tutto questo e altro ancora (come si dice in questi casi) nel resoconto di viaggio di Matteo Della Bordella che - suddiviso in capitoli - vi proponiamo a seguire. 

© Archivio Fotografico Matteo Della Bordella

IN KAYAK TRA GLI ICEBERG

Non è stato facile per i quattro affrontare il viaggio in kayak nelle gelide acque del settore più settentrionale dell'Oceano Atlantico, al "confine" con il Mar Glaciale Artico. Trecento i chilometri dal campo-base logistico di Tasiilaq a quello alla base della loro missione arrampicatoria, tutti da coprire a colpi di pagaia. La grande presenza di ghiaccio che quest’anno ha caratterizzato la stagione è stato il primo problema da affrontare. Dopo aver posticipato la partenza, di una decina di giorni, sperando di incontrare condizioni migliori, Matteo e compagni si sono trovati fin da subito a fare i conti con l’oceano ghiacciato.

“Il secondo giorno ci siamo trovati in un fiordo, immersi in un mare di ghiaccio. Rischiavamo di rimanere bloccati e non sapevamo bene che strada prendere per uscirne. Il terzo giorno poi siamo riusciti a risolvere il problema e a proseguire”. 

© Archivio Fotografico Matteo Della Bordella

METEO DA INCUBO

Il secondo problema è stato quello legato al maltempo. “Condizioni come quelle che abbiamo incontrato le ho viste solo un paio di volte in tutta la mia vita, in Patagonia. C’erano venti a cento chilometri orari e qui abbiamo davvero avuto paura di non riuscire a superare quelle giornate. Alla fine siamo riusciti a trovare un riparo vicino a un vecchio insediamento vichingo, dove abbiamo trascorso due giorni e mezzo, attendendo che i venti si placassero, prima di poter riprendere la marcia. Siamo ripartiti pensando che fosse finita, invece no! Ci colpisce una seconda tempesta, questa volta con onde che raggiungono i tre metri.

© Archivio Fotografico Matteo Della Bordella

È stato il momento più difficile di tutto il viaggio. Abbiamo dovuto decidere in fretta cosa fare: fermarci o proseguire. Prima di partire ci eravamo allenati, avevamo fatto una buona preparazione e sapevamo di poter affrontare condizioni di quel tipo. Ovviamente sapevamo anche che era come muoversi… in free solo su una parete: se fossimo caduti in acqua non ne saremmo più usciti. Passata, allo stremo, anche questa tempesta, l’oceano si è calmato e abbiamo hanno potuto proseguire il viaggio fino ai piedi della parete. Dieci giorni in tutto”.

© Archivio Fotografico Matteo Della Bordella

LA PARETE

Raggiunta la parete del Drøneren e posizionato il campo base Matteo e compagni hanno prima valutato le possibilità offerte dal muro verticale sopra le loro teste, poi hanno iniziato a prepararsi ad un primo approccio.

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“Anche in questo caso non abbiamo avuto vita facile. Al primo tentativo siamo stati ricacciati indietro dalla pioggia, e così anche al secondo. Quando decidiamo di attaccare per la terza volta inizia a nevicare sporcando la parete, per cui non siamo nemmeno partiti. 

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Il quarto tentativo sembra essere quello buono, ma una volta ancora le cose si complicano. Improvvisamente veniamo travolti dal Piteraq, un vento della Groenlandia che non si riesce a prevedere: la sua azione genera una scarica di sassi che trancia una delle corde che avevamo piazzato in un precedente tentativo e che Symon sta risalendo. Fortunatamente l’incidente non ha conseguenze. Quando la scarica trancia la corda, Symon è ancora assicurato a una protezione”.

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L’incidente sfiorato porta i quattro a scegliere di rientrare alle tende del campo.

“Pensavamo di non riuscire a combinare nulla, poi invece al quinto tentativo la situazione si è sbloccata”. In tre giorni (due per compiere la salita e uno per la discesa) Matteo, Silvan, Symon e Alex riescono nell’apertura di una nuova via sulla parete nord-ovest del Drøneren.

© Archivio Fotografico Matteo Della Bordella

"Sono 1200 metri di parete, mai scalata prima: bella ed estetica, rarissima! A parte un tiro di 7b su pecker, molto psicologico, gli altri tiri sono molto godibili. In totale abbiamo aperto 35 tiri, una via veramente lunga. A completare l’emozione della salita la vista, durante il bivacco in parete, dell’aurora boreale: il regalo della Groenlandia”.

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RITORNO A CASA

Tornati al campo base e preparati i bagagli, i quattro alpinisti hanno iniziato a organizzare il viaggio di rientro. Ad attenderli altri trecento chilometri in kayak. “Di questi in realtà ne abbiamo percorsi solo 150, perché poi ci siamo trovati senza cibo. Da qui la decisione di farci venire a prendere prima. In totale la spedizione è durata 32 giorni”.

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GLI ORSI POLARI

Si potrebbe dire che siano stati gli orsi polari i compagni di viaggio dei nostri quattro protagonisti.

“In tutta la spedizione ne abbiamo avvitato quattro. Tre sono scappati non appena hanno fiutato la nostra presenza. L’ultimo invece, l’esemplare più maestoso, gigante e bianco, quando ci ha visti ha iniziato a venirci incontro con passo deciso. Allora abbiamo imbracciato il fucile e abbiamo sparato un colpo in aria per avvertimento, sperando di spaventarlo, ma non ha sortito alcun effetto. Continuava a venirci incontro.

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Spariamo un altro colpo, continua ad avvicinarsi. Al terzo colpo si ferma, si gira e se ne va. Era ormai a pochi passi da noi”.

L’episodio spinge MDB e compagni a istituire turni di guardia notturni.Sulla terraferma ma anche per mare, durante il rientro in kayak.

“Avevamo la recinzione allarmata, ma si è rotta il secondo giorno. Prima dell’ultimo incontro eravamo molto tranquilli, dopo invece… un po’ meno”.

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